Dal Quotidiano del 5 dicembre 2007

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L’Incontro

 

Il docente Unical Vito Teti ospite dei ragazzi del “Galluppi”

Viaggio antropologico in Calabria

di GIOVANNI FAZIA

CI SONO coordinate non geografiche che fissano nell'animo i luoghi cui siamo legati, quelle che rispetto a latitudine e longitudine, di essi misurano una dimensione ulteriore, legata alla sfera delle nostre identità, quella del “senso”. Ad intraprendere un “viaggio” nell'identità, custodita dai nostri paesi-fantasma sospesi tra storia e mito, sono stati ieri gli studenti del liceo classico “Galluppi” di Catanzaro, in occasione dell'incontro sul tema “Viaggio in Calabria: luoghi antichi, luoghi della contemporaneità” con il docente di Etnologia all'Unical e direttore del Centro di Antropologie e Letterature del Mediterraneo Vito Teti. Un viaggio - “non geografico, ma antropologico” come ha sottolineato il preside Armando Vitale -che ha preso le mosse dal volume di Teti “Il senso dei luoghi. Memoria

e storia dei paesi abbandonati” (Donzelli, 2004) ed è continuato con un'analisi dell'opera documentaristica di Vittorio De Seta “In Calabria”, condotta da Maria Gullì. La dimensione cui Teti riesce a calare il lettore, nasce da un'esigenza di metodo: il “viaggio” sì come volontà di conoscere, ma soprattutto come incontro con “l'altro”, operazione di messa in discussione. Al bando gli approcci di tipo “nostalgico” nel “viaggio” con Teti, per cercare di capire le grandi trasformazioni che hanno colpito la regione. Perché l'identità della Calabria, la “Calabrietà”, nasce nei paesi arroccati sui monti o sulle colline, dove era più difficile contrarre la malaria o essere saccheggiati da predoni venuti dal mare. Saranno le catastrofi naturali, i terremoti, le alluvioni, (e poi il richiamo delle città e dell'industria) a spopolare il “cuore” della Calabria, a far nascere “doppioni” di paesi montani sulle marine sempre più devastate dall'antropizzazione selvaggia. Storie che appartengono alla nostra vicenda culturale: storie come quella di Roghudi, o Cerenzìa, dove però gli abitanti ritornano periodicamente, coniugando memoria e devozione e riempiendo di vita e “senso” un paese che sembra “morto”. Il concetto di “paese abbandonato”, allora va rivisto: i luoghi non muoiono, come ha sottolineato Teti, i ruderi e le pietre parlano, le storie che diventano “mito” suonano come una voglia di ritorno, il richiamo dei luoghi passa dai Santi che tornano da lontano portati in processione da gente che ritrova la sua identità all'ombra di case diroccate degli avi. “Ma chi dice queste cose - osserva Teti - alla fine viene “promosso” per dare la possibilità a qualche retore di lamentarsi”. Ripensare il paesaggio calabrese a partire dai “ruderi che diventano vivi”, trasformare la memoria in risorsa: questi i messaggi che sono emersi dall'incontro con Vito Teti. “La scommessa - ha osservato - è fare che le rovine, da elementi di distruzione, diventino elementi di rinascita”. Lavorando in silenzio, concretamente e magari lontano dai riflettori, come i ragazzi che salvarono la gente di Cavallerizzo: loro, nessuno sa che faccia hanno.

  

Da sinistra Vito Teti, Carmela Sutera, Maria Gullì, Armando Vitale