Dal Quotidiano del 10 gennaio 2008
Francesco Mazzè
Maestro e poeta
di Bruno Vellone
“Su
calabresi, calabresi sugnu, su nominatu pi tuttu lu regnu”. Con queste parole
tratte da un libro di poesia calabrese che Francesco Mazzè da piccolo era
solitop leggere, egli risponde a quanti gli chiedono da dove nasce il suo amore
per la poesia dialettale. Nasce nel 1926 a san Nicola da Crissa e qui vive con
sua moglie Pojar Lucretia. Sin da ragazzo ha amato il dialetto, dilettandosi,
soprattutto nel periodo degli studi magistrali a Vibo Valentia, a scrivere
poesie dialettali ed in latino. Per tutta la vita ha esercitato la professione
di maestro elementare ed ancora oggi nelle sue ore libere, ama ricevere a casa
studenti di ogni grado, in difficoltà in varie discipline, cui devotamente
presta il suo prezioso aiuto.
I suoi primi incontri con la poesia dialettale furono attraverso la tradizione orale, soprattutto con la poesia di Ammirà (la Pippa) e dell’abate Giovanni Conia, che amava recitare a memoria insieme ai suoi amici. Uomo di notevole cultura e altrettanta modestia è dotato di grande spirito giovanile ed è assai incline all’allegria ed alle battute, trascorre le sue giornate leggendo e scrivendo, cita mirabilmente Russeau e conosce l’inglese, il francese e lo spagnolo, pur non avendo viaggiato. La sua è una poesia frizzante e polemica, controcorrente e ferocemente satirica, soprattutto nei confronti dei politici, del clero corrotto e di qualche pontefice che secondo lui ha contribuito alla cristianizzazione del mondo occidentale. Il lettore dopo aver assaporato le poesie dialettali di questo autore, rimane felicemente sbigottito per la sua capacita di essere irriverente nei confronti del potere e di fare denunce sociali, che attraverso la narrazione di fatti di vita quotidiana si levano a voce alta nei confronti di abusi e soprusi, in un’epoca in cui ormai l’unico canto di protesta che si sente, sembra essere quello delle cicale. La sua vena poetica gli ha permesso di tradurre in dialetto l’inferno dantesco e di scrivere la “Rovina Commedia” che, sulla falsariga della Divina Commedia, condanna all’inferno o assolve al paradiso, persone e personaggi contemporanei, il cui incipit testualmente recita: “passando di nu ponti si liberau nu muru, cadendo testa sutta mi vitti ntra nu scuru, fu tali la caduta chi jvi allu prufundu, duvi de li dannati eternu esti lu mundu”. Nel 2005 ha partecipato al concorso letterario regionale per la poesia “Città di Gioia Tauro”, vincendo il primo premio con la raccolta “Riju pe no mu ciangiu”. Recentemente ha pubblicato l’ultima raccolta di poesie che si chiama ”E mi capisciu sulu!” mentre ha in programma altre opere quali, un vocabolario di termini dialettali in disuso che contenga anche i sinonimi e la quasi ultimata raccolta di favole che si chiama “Cento e una favola” in cui la morale è inversa a quella contenuta nelle favole di Esopo.