Dal Quotidiano del 26 aprile 2008

 

Il Ricordo di Sharo Gambino

La sua nostalgia non è mai rimpianto del tempo andato, ma passione

Il cantore delle cose piccole

di Vito Teti

Mentre scrivo, piango. E ogni lacrima che scende è un fiume di ricordi, di emozioni, di sentimenti. Piango Sharo Gambino, il poeta, lo scrittore, il narra­tore delle Serre, di Serra S. Bruno e di Vazzano, di Nar-dodipace e Ragonà, dei pae­si minuti e ricchi di storia, aperti e isolati; il cantore delle cose piccole e profon­de, dei boschi e dei fiumi, dell'Ancinale e di Subci-num, della Certosa e delle carbonaie; il cantore degli "ultimi", dei briganti, degli eroi nascosti, degli uomini contraddittori di questa terra, di Vizzarro e dei ri­voltosi di Caulonia, di Ge-suino, il protagonista di So­le nero a Malifa (uno dei più bei romanzi della nostra let­teratura), e delle ragazze al fiume, degli emigranti e delle figure inquiete, dei ri­belli e degli sconfitti. Nei vinti, nelle storie comu­ni, marginali, negli scarti della cultura ufficiale e del­la storia egli trova la "mate­ria" per dare solidità, spes­sore, anima alla sua scrittu­ra e al suo legame profondo con i luoghi. Con "reali­smo" e con "magia". Da illu­minista e insieme da ro­mantico. Con un'attenzione ai luoghi che poteva sem­brare "superata" e che ades­so appare innovatrice, anti-cipatrice di poetiche e di estetiche, di etiche e di an­tropologie, proprie del pe­riodo in cui 'locale" e "glo­bale" dialogano e si rincor­rono.La mappa dei luoghi trac­ciata, disegnata, ripercor­sa, inventata da Sharo di-venta improvvisamente più povera, più triste, smarrita, quasi senza memoria. Per­ché i luoghi erano Sharp e Sharo era i luoghi, che dise­gnava,  amava,  accoglieva anche quando gli provoca­vano dolore e sofferenza. Piango lo studioso, il criti­co, il ricercatore, lo scopri­tore di Mastro Bruno e il primo lettore critico della Ceceide di Ammira, lo stu­dioso (il primo) della n-drangheta e della poesia dialettale, dei canti diprote­sta e dei detti del mangiare, il giornalista dei mille e mil­le articoli e il valorizzatore dipoeti sconosciuti, di arti­giani ignoti, di storie minu­te, di luoghi nascosti: di "microstorie" e "piccoli luo­ghi" che fanno la Calabria ricca, profonda, complessa e che sfugge ai più, a coloro che si fermano in superfi­cie, che non hanno voglia di scavare e di camminare. Piango - e credo che la Cala­bria intera pianga - il racco­glitore di voci sommerse, il conoscitore di storie e di proverbi, l'autore di splen­didi racconti e di bellissimi romanzi.

Piango l'uomo che era la stessa "cosa" del poeta, del­lo scrittore, del critico, del pittore, che ha smentito la distanza tra letteratura e vi­ta, che ha mostrato come un grande artista può e de­ve essere un grande uomo. La scrittura per lui era vita, ma egli non confondeva lavita con la letteratura: i suoi romanzi e i suoi scritti li amava come si amano le proprie creazioni, ma i suoi grandi "romanzi" si chia­mano Melina (la moglie), Sergio, Marinella, Tiziana, Cinzia, Rossana, Silvia. Con loro e con le tante per­sone a lui care (fratelli, pa-renti e amici di tutte le Cala­brie, persone notissime e fi­gure sconosciute) egli ha scritto il "romanzo di una vita", la favola di una vita. Consegnato alla scrittura e alla ricerca, ha avuto il tem­po e la grazia di essere ma­rito amabile, padre premu­roso, nonno incantevole, cultore dell'amicizia e degli affetti.

Piango l'amico generoso e leale, la persona con cui ho condiviso tanto dalla metà degli anni settanta: mai una tensione, mai una di­scussione.

Sharo era disarmante nella sua bontà, nella sua gene­rosità, nel suo senso pro­fondo dell'amicizia. Sempre garbato, mai una parola fuori posto: non sapeva pensare male. Si stupiva del male del mondo, e quando si indignava - con passione civile e profondo senso etico - lo faceva con pacatezza, con un grande sentimento di pietas.

Il più calabrese degli scrit­tori calabresi di questi ulti­mi decenni, era, forse, il meno calabrese di tutti, quello che si era allontana­to (per scelta e per natura) dalla Calabria dei conflitti e dei contrasti, della retorica e delle mode effimere. Serra S. Bruno, la cittadina hi cui viveva (era nato a Vazzano da lui tanta amata e raccon­tata), costituiva per lui un universo, un luogo scelto,ma anche un rammarico, come capita a chi sa guar­dare ai luoghi con tanto amore, a volte con amarez­za, ma anche con tanta in­dulgenza.

Egli ha avuto, o scelto, il "destino", eroicamente in­terpretato, di restare, di non essere fuggito, da se stesso e dai luoghi. Non senza rimpianti, talora con dolore, con molti sogni e con tanti disagi, si è assun­to il peso di narrare i luoghi con lo sguardo di chi è ri­masto, senza inventare una sorta di retorica o di esteti­ca del "rimasto". La sua no­stalgia non diventa mai rimpianto del "buon tempo andato", ma appare "pas­sione" e pietas per gli abita­tori di un universo scom­parso, per un mondo di uo­mini e cose che non esiste più. Con Sharo se ne va una parte fondamentale di una Calabria vera, scarna, so­bria, profonda, delicata, an­tica, ormai insolita e desue­ta, quella Calabria di cui avrebbe bisogno anche la nuova Calabria che fatica a nascere e ad affermarsi. Mi mancherà il tuo sguar­do intenso e benevolo, Sha­ro, avrò nostalgia delle tue telefonate in cui esordivi scherzando "Che succe­de "... e finalmente"; "Da quale parte del mondo tor­ni?". Il mio mondo ulteriore diventa più povero. Ricor­derò l'ultima estate, quan­do già ammalato e stanco, sei stato nel mio paese fino alle due di notte, per ascol­tare attento i miei testi, in una serata di festeggia­menti organizzata per me. Ricorderò l'ultima telefona­ta dell 'altra sera in cui tu mi comunicavi che volevi ve­dermi (forse le ultime avvertenze e l'ultimo saluto) e che ti eri fatto portare il cer­tificato elettorale in ospeda­le, a Nicastro, per votare -me. Mi hai fatto lo scherzo, tu, questa, volta, di non rive­derci. Gli amici si sono det­to tutto da sempre, caro Sharo, e resterà sempre qualcosa che non si sono detto. Per gli amici non esi­ste mai l'ultima volta. E' in­tollerabile. C'è sempre un poi, un domani, qualcosa che resterà aperto anche quando uno dei due avrà in­trapreso un altro viaggio. Soltanto il ricordo, forse, attenuerà il senso di inade­guatezza che avverto nei tuoi confronti, che mi spin­gerà a coltivare la cura, Uri-guardo, la pazienza, la reli­giosità naturale che mette­vi nei rapporti. Qualche la­crima si è asciugata. Per­ché, mentre scrivo, penso che hai lasciato tante cose, hai consegnato memorie ed affetti, libri e storie, e sarai ancora con noi. Farò di tut­to perché la Calabria sappia riconoscere i suoi poeti e i suoi grandi uomini, i luo­ghi e le storie da loro rac­contati, e così mi sembrerà di continuare a parlarti, a dirti, come spesso avveni­va, "ciao grande scrittore come va?" e tu a dire sempre "va bene", "me la cavo", "so­no contento della famiglia" e di "quello che scrivo". Non te la sei "cavata", Sharo, hai fatto molto di più, hai com­piuto miracoli: hai dato "te­stimonianza", fornito mo­delli, lezioni, fiducia e spe­ranza a tanti di noi che in questa terra si trovano spesso apensare che è diffi-cile e quasi impossibile ca­varsela. Ciao Sharo e gra­zie.