Dal Quotidiano del 25 giugno 2009
I MIEI RICORDI PER I GIOVANI IMPEGNATI NEGLI ESAMI DI MATURITÀ
di VITO TETI
COMINCIANO oggi gli esami di maturità che vedono impegnati quasi 500 mila giovani e, quest'anno, il boom dei non ammessi (circa 27 mila). Non è facile controllare il ricordo del proprio esame di maturità. Sono passati quarant'anni dalla mia prova di maturità. Sembra ieri. Correva l'anno 1969. L'anno della mia maturità comincia nel sessantotto, col sessantotto. L'estate precedente gli studenti universitari erano tornati da Roma e ci raccontavano della contestazione e di Valle Giulia. Qualcuno mi diede “Lettera a una professoressa” di don Milani e dei ragazzi di Barbiana da leggere e da commentare ai giovani studenti del paese. Conservo da qualche parte le pagine di quella mia prima “lezione” che fu anche il mio primo intervento pubblico, il mio esordio “politico”. Quel libro mi cambiò profondamente, mi fece capire meglio la fatica dei miei, il perché mio padre fosse partito in Canada per farmi studiare. Continuai a leggere altre storie di scuola. Ottobre fu mese di scioperi, di manifestazioni e di occupazioni. A marzo la mia classe (terza A Liceo Morelli di Vibo Valentia) si scoprì inadeguata nella preparazione di filosofia e di storia. Non c'era un docente titolare. Non entrammo a scuola, ma non andammo al mare e né ci lamentammo. Rivedo il prato molto bello, adiacente all'edificio, dove andammo a sederci. Uno leggeva e gli altri ascoltavano. Poi si interveniva, si parlava, si commentava. Quando il preside Giuseppe Sconda, bravo docente, persona perbene e liberale, ci raggiunse, non credeva ai suoi occhi. L'indomani si presentò nella nostra aula e cominciò a spiegare con una passione e un amore che raramente avrei riscontrato in seguito. Quando tanti benpensanti odierni riducono il Sessantotto (sono esistiti tanti Sessantotto) a licenziosità, lassismo, trenta politico, prima della mia mente insorge il mio corpo, la mia memoria. Ricordo il batticuore che mi prendeva il mese prima dell'esame, le albe e le notti passate a leggere e a ripetere, a scrivere e pensare. Ricordo i primi disturbi al colon con cui si manifestava la mia ansia. Non ero il solo. Giocavamo una grande partita. Quella del riscatto, del futuro. Non eravamo ricchi, i più, eravamo la prima generazione che aveva avuto accesso alla scuola di “massa”. “Era il nostro turno”, come scriveva per altre ragioni Saverio Strati. Non potevamo sciupare quella possibilità. Resisteva la “scuola di classe” (lo avrei scoperto a mie spese con un esame punitivo) ma una nuova “classe” aveva accesso finalmente al sapere e all'istruzione. Mi giungeva, nel mio sentirmi protagonista di una rivoluzione sociale e mentale, eco del fascino per la cultura e la scrittura propria dei ceti popolari. Mio nonno, di cui porto il nome, era “analfabeta”, ma cantava e parlava il latino della Chiesa, citava autori famosi, conosceva a memoria i nomi delle piante, dei luoghi, dei santi. Corrado Alvaro ha raccontato l'amore per la scuola e l'istruzione di suo padre insegnante autodidatta. Mi arrivava, in quelle bellissime mattinate di giugno, il messaggio di generazioni di emigrati che tornavano e cercavano istruzione per i loro figli. Se ricordo tutto questo, è per dire che ritengo sterile e fastidioso il dibattito sul merito e sulla meritocrazia in bocca a tanti retori che hanno distrutto la scuola e che si nascondono evocando, negativamente, quel periodo di speranze, di illusioni, di fatiche (anche di errori e di lacerazioni).
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Se ricordo tutto questo, non è certo per nostalgia: è perché ad un certo punto non solo i sogni, ma anche le responsabilità, si sono dileguati. Molte cose sono cambiate. Profondamente. La scuola è stata la “grande dimenticata” degli ultimi decenni. Tante retoriche, tanti piccoli aggiustamenti, continue riparazioni che hanno generato un senso di precarietà e di incompiutezza. I responsabili veri del lassismo, i praticanti di ogni deregulation e del “fai come ti pare”, adesso vogliono passare per moralizzatori. Assumono un atteggiamento punitivo e prevaricatore per nascondere la loro incompetenza, le loro magagne. Per queste ragioni, dobbiamo essere noi i sostenitori del merito e dei valori. Senza ambiguità. Dobbiamo ridare centralità alla scuola, al sapere, all'istruzione, ricordare che il “nostro turno” non deve conoscere soste. Una scuola e una società basata sul merito sono la ricchezza e la salvezza di chi non ha altro in mano, di chi non campa di rendita, di chi sa che deve sempre faticare e mettersi in discussione. Critichiamo i tagli alla scuola, contestiamo questa riforma restauratrice, respingiamo questi interventi “classisti” e punitivi, ma non lasciamo agli altri il valore del merito. Non assolviamoci per avere assistito incauti, indifferenti,
distratti, complici alla progressiva distruzione di quello che di buono la nostra scuola era riuscita, nonostante tutto, a produrre. Siamo noi a dovere contrastare una società dei privilegi e delle scorciatoie. Naturalmente, il merito non deve essere brandito come una clava, non deve legittimare esclusioni, non deve fondare una società che dimentica gli “ultimi”, che magari diventeranno i primi in altri campi. Daniel Pennac in Diario di scuola (un libro che dovrebbe essere letto in tutte le scuole) narra la sua “incapacità di comprendere” alle superiori: diventerà scrittore e docente, autore di pagine bellissime sul perché soltanto la scuola può salvarci. Una scuola che salva può essere disegnata soltanto da forze politiche e intellettuali che abbiano una visione generale della società, che sappiano immaginare il futuro, disegnare la speranza. La nostra regione è agli ultimi posti nell'istruzione scientifica e anche in quella umanistica. All'Università arrivano studenti che non sanno scrivere e non sanno parlare in italiano, non hanno letto Alvaro e non hanno mai visitato Stilo. Molti di loro hanno il massimo dei voti. Questo periodo per chi insegna è molto delicato e difficile. E' anche un periodo difficile da gestire per le innumerevoli chiamate di raccomandazione. “Mio figlio? E' bravissimo, però, non è tutelato, ci sono i raccomandati e magari prenderà qualche punto in meno, puoi parlare con il tale professore?” Dico: “Scusa, ma non stai raccomandando tuo figlio?”. “Sì, ma non danneggio gli altri lo proteggo”. Non è vero: le selezioni nelle università avverranno tendendo conto del voto di diploma. Abbiamo sempre qualcuno da proteggere, da difendere, da tutelare. Dai raccomandati che, naturalmente, sono sempre gli altri.
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Bisogna cambiare registro, come ricordava il compianto Sandro Onofri nel suo bellissimo “diario” di classe. Compiere gesti e atti di ordinaria moralità, di normale giustizia. Questa società degradata, senza “valori”, dove prosperano Papi e papà, dove il modello dominante è quello delle vallette, delle escort, delle donne vendute e svendute, questa Italia confusa che straparla di merito e poi si regge su protezioni, clientele, cooptazioni, coorporazioni, questa Calabria che parla di risorse e sciupa le occasioni che arrivano dalla scuola, insomma questo nostro mondo contraddittorio e incerto non troverà “alternative”, modelli altri, se non sapremo ripartire dalla suola, da una scuola di tutti, del merito e delle competenze. Se non si scopre l'etica della responsabilità, sarà difficile contrastare politiche dei tagli, chiusure di scuole, aumento delle tasse. Termini come “austerità”, sobrietà, questione morale (di berlingueriana memoria) sembreranno desueti e predicatori, ma forse vanno riscoperti per affrontare diversamente questa crisi, per affermare nuovi modelli di sviluppo, per riconoscere stili di vita diversi da quelli che ci portano alla rovina. Saranno questi giovani che si presentano all'esame tesi e allegri, sorridenti e ansiosi, timidi e combattivi, che smentiscono tanti luoghi comuni sui giovani, che rivendicano autonomia, presenza, voglia di mettersi in gioco e di partecipare a gare non truccate, saranno loro ad ereditare le scelte sbagliate, le incapacità, gli errori dei tanti adulti, che non hanno saputo creare quel mondo sognato e immaginato da giovani. Bisogna fare di tutto perché questo sia il loro turno, la loro occasione, la nostra occasione. Dovremmo saperli ascoltare, dovremmo riuscire a parlare con loro e dovremmo imparare l'arte di dare risposte vere e non di elencare certezze.