VOLTI E RISVOLTI DI VITO

di Antonio Gullusci

 

Una mostra doppia tra San Nicola e Vallelonga per Vito Pileggi pittore e fotografo.  Dal 17 Agosto a San Nicola da Crissa una personale di sei giorni presso la sede della Congrega del Santissimo Crocifisso.  A Vallelonga un'estemporanea collettiva in piazza Monserrato il giorno 21 Agosto.

 

Il pittore e fotografo Vito Pileggi è ri-tornato. Il passo è più lungo, di quel che si può intuire a prima vista, perché Vito è ritornato da poco alla pittura, dopo più di un decennio d'inattività, con un progetto difficile: tracciare una linea di confine tra quel che ha “sentito e visto” con la fotografia e quel che può “ ri-vedere e ri-sentire” con la pittura.

Il suo è un neo-espressionismo, che si nutre della lezione modale e formale dei maestri dell'arte del passato  incrociata col  “neorealismo” cinematografico del secolo scorso. Sopra tutti Van Gogh ma senza quella, ormai datata, deterministica identificazione romantica tra arte e vita; Vito interpreta il suo ruolo con pudore, cerca di offrire segni del suo sentire  attraverso un'etica della condivisione. In tal senso possiamo trovare anche un certo Goya, il futurismo di Boccioni e l'arte sociale di Guttuso. E i grandi fotografi come Arturo Zavattini (figlio del grande letterato e regista Cesare), direttore della fotografia di De Sica; Franco Pinna fotografo di Fellini o Tonino Delli Colli, fin da Accattone, fotografo di Pasolini. E come non accennare ai grandi maestri, della fotografia etnologica, come Ernesto Di Martino (e i suoi Viaggi nel Sud) e, della storia sociale della fotografia, come Ando Gilardi. Pellicole e tele sono il terreno del suo progetto visivo. E con questo sguardo, apparentemente fuori tempo, legge l'attualità; un'attualità dilatata - di stati psicologici bergsoniani - sugli ultimi trent'anni della sua vita artistica ed umana.

La visione fotografica di Vito è in bianco-nero; sottolinea il gioco splendido della luce e dell'ombra, si ferma sui volti, accentua le assenze. La sua visione pittorica è  policromatica; spinge a riportare sulla superficie della tela il sentimento, deforma le forme, evoca presenze. A prima vista, nelle sue foto così nette, si scorge drammaticità invece, ad una più attenta lettura, si svela disincanto e perplessità. A prima vista, nei suoi quadri così caldi, si intravede epicità invece, con calma, si scorge premura e tenerezza. Così, negli sguardi sottratti della fotografia e nelle visioni restituite della pittura, la sua espressione è di una inquieta e paradossale serenità. Certo la sua è una strada difficile, è un sentiero contorto, perché prova a curvare il limite tra il buon senso del realismo addomesticato e il controsenso dell'espressionismo rivisitato. Il suo modo di fare è un neo-espressionismo etico (se mi è consentito coniare questa definizione) perché è delimitato dalla sua volontà di catturare momenti di vita con il consenso dell'interessato. La persona che cerca la vuole frequentare, anche a lungo, vuole farsela amica, capirla, per tirarla fuori psicologicamente e poi restituirla con un'unica sintetica immagine, collocandola proprio là dov'è, tra le sue cose, nel senso dei suoi luoghi materiali e mentali. Poi ri-vede, e trasforma quell'unica sintesi in un nuovo sentire; le sue impressioni le riporta sulla tela nel conflitto tra rappresentazione coloristica e rievocazione storico-narrativa. La sua è una sorta di lotta estetica tra quel che ha sentito nell'istante prima dello scatto visivo tecnologico, quel che vede nel buio acido della camera oscura, e quel che risente nella lunga fatica della mano che lavora la materia. L'essenza del già visto, con la fotografia, la rovescia – attenzione, è uno specchio non simmetrico e “mal” riflettente – nell'essenza di ciò che aveva sentito. Qui, la forza delle storiche avanguardie artistiche è, allora, filtrata nella decostruzione delle figure, nella rilettura informale quanto basta del materico, nella riproposizione dell'evento in una dinamica narrativa dell'interrogazione. Strumenti, materie, tecniche sono usate da Vito nello sforzo di scorgere e far scorgere il senso profondo – quasi ontologico – della sua rappresentazione e ri-rappresentazione del “vero”, un vero che - non essendo mai lo stesso - lo tormenta e lo tormenterà per sempre. E' un esistenzialismo estetico sociale il suo. Infatti, mi pare anche di capire che la domanda inconscia, che induce nei fruitori delle sue immagini, sia essenzialmente: dove siamo?  Soprattutto quando espone il triangolo infernale artefice-soggetto-spettatore: qualcuno o qualcosa in quelle foto guarda te che guardi, e ti chiedi chi ha agito e perché. E poi c'è il peso dei corpi, che si tratti di persone, pescispada,  “pietre” o “pareti”, Vito è in grado di costruire visioni di totemica-religiosa-consumistica espressione. Espressioni che poi riporta - giocando con le immagini dei suoi soggetti, usando il registro dell'ironia e del grottesco - tra la tela e l'osservatore facendole esplodere nell'instabile equilibrio di un figurativo trasfigurato; pare un Klee senza geroglifici (nei paesaggi) o un Botero meno arrotondato (nelle figure). A modulo espressivo-narrativo ha assunto la contaminazione dei simboli ; nel binomio natura-modernità trova ed esprime la lotta dei contrari sporco-pulito, rovesciandoli l'uno e nell'altro e volutamente confondendoli. Manipola (ingenuamente?) la problematica del puro-impuro come linguaggio di una constatazione, in cui si sottende l'eterno dialettico conflitto tra dionisiaco e apollineo (si intravede il senso del tragico-gioioso insegnato da Nietzsche); in tal modo i soggetti del suo vedere li rende primordiali e li separa dal loro spazio “passato” per assumerli nel simbolico del presente che ha ri-prodotto tale realtà; Vito riesce a fa emergere nel visibile la forza della contraddizione ergendola a segno della differenza (forse Deleuze ne sarebbe stato contento). Di ogni immagine, in ogni storia, vediamo volti e risvolti: persone o paesaggi naturali opposti a oggetti e ambienti artificiali, i pieni opposti ai vuoti delle “pareti” del cielo e delle stanze, le apparizioni di oggetti d'uso opposti al riuso (rifiuti, macchine e plastiche d'ogni tipo), le superfici della carta trattata con liquidi chimici  opposte alla tela campita di pigmenti solidi. Invece, i suoi luoghi reali sono sostanzialmente quelli delle Serre, un Sud meridiano ristretto alla parte più stretta della Calabria. Spazi di un decentramento del suo paese, San Nicola da Crissa, e della sua origine come artista (magiche immagini in un sacchetto di tela nei ricordi di un'infanzia prima, insegnamenti tecnici e accademici vibonesi e romani dopo). I suoi soggetti preferiti e pre-feriti sono oscillazioni di tutti i suoi incontri, tra infanzia, follia e senilità, come segni proustiani di un vissuto. Vito produce e riproduce occasioni, come ricostruzione illusoria di una matrice ideale della realtà, come realizzazione tangibile di un momento forse mai esistito, eppur tutto vero (nel senso espresso sopra), singolarmente vero, proprio nell'epoca della riproducibilità tecnica. Sappiamo che Walter Benjamin ha pienamente colto la trasformazione dell'aura, nel passaggio dalla pittura alla fotografia e viceversa, nell'età dell'industria ed ha posto chiaramente il problema estetico di una nuova comunicazione visiva, da qui, a suo modo – con grande personalità – Vito si muove dentro questo difficile e postmoderno orizzonte.

Risvolto etico - Vito dice: < Cerco il senso del concreto, voglio sapere da quale contesto di vita emerge ciò che vedo, voglio amare e sapere, avere un rapporto carnale e spirituale, frequentare per rappresentare>

Risvolto estetico - Vito sa che deve mostrare immagini, ma più che esporre desidera raccontare, il suo è il tentativo artistico di spingere la visione nella narrazione, è un “cantastorie” capovolto.