Dal Quotidiano del 17 febbraio 2010
QUEL CRATERE CHIAMA IN CAUSA TUTTI
di VITO TETI
HO VISSUTO dal vivo e in diretta l'ennesima tragedia. Con apprensione. Con dolore. Ero a Vibo Valentia in compagnia di un carissimo amico, che riceve una telefonata allarmata e disperata della moglie, originaria di Maierato, che lo pregava di recarsi a prendere nel paese la vecchia madre. Gregorio Vinci si è alzato ed è corso per portare a casa sua, a Vibo, la suocera. Altri amici sono scappati, hanno chiuso le loro case, senza certezza del domani.
Un altro paese calabrese, Maierato, ricco di storia e “felix” (luogo di grano e di prodotti agricoli svariati), di reperti archeologici e di tradizioni, è stato evacuato, si “è svuotato”a seguito di una devastante frana. Mi sono recato a Maierato, uno dei “miei” paesi, a pochi chilometri dal mio, che quasi ogni giorno scorgo dal mio balcone quando osservo i tramonti e le nuvole. Altre transenne, un altro paese chiuso, evacuato. Un grande cratere si è aperto nel luogo in cui sorgevano ulivi maestosi ed antichi e dove, per la festa di San Rocco, si celebrava una fiera di bestiame e di merci tra le più importanti della zona. Ho visto via vai consueti, gente disperata, molti abitanti in ansia per una possibile frana che incombe su tutto il paese. Nel mio obiettivo fotografico e nei miei pensieri sono entrati luoghi abbandonati per catastrofe, rovine antiche e recenti, smottamenti, strade interrotte. La storia non “insegna” molto e a dispetto di tante retoriche sulla memoria, qui dimentichiamo facilmente. E' tutta la Calabria a franare: San Marco Argentano, Mendicino e soprattutto i paesi della provincia Vibonese (Polia, Nardodipace), dove le strade interrotte,franate, piene di buche sono più numerose di quelle percorribili senza pericolo. La stessa Vibo sembra un letamaio, una grande pozzanghera. E tutto questo disastro avviene nel silenzio e nell'indifferenza generali. Avviene in una provincia, con centri grandi e piccoli, cittadine, amministrati da decenni dal centrosinistra (è la verità e non mi si venga a dire che porto acqua al mulino del centrodestra). I morti di Pizzo e di Bivona non hanno insegnato nulla. Anzi, sono aumentati, anche nei luoghi dei recenti disastri, la speculazione e la devastazione delle coste e delle colline, come qualche attento magistrato ci ricorda. La provincia di Vibo è l'unica dove non si è potuto svolgere il congresso Pd e Vibo Valentia è l'unica città d'Italia dove le primarie sono state rimandate, “raggirate”, annullate, con bizantinismi e furbizie di ogni sorta. I “capibastone” locali (l'espressione è di Veltroni) sono stati abili a scongiurare un altro caso Vendola o un caso Speranza. E Vibo e il Vibonese sprofondano e con questo ceto politico, con questi gruppi dirigenti, muore anche la speranza. E la frana appare metafora di una classe politica che non vuole cedere il passo, sempre pronta ad assolversi e a presentarsi “vergine”, sempre in prima linea a creare e alimentare divisioni e lacerazioni in un territorio già frammentato e già devastato, che avrebbe bisogno di “unità”, riguardo, progetti, prospettive. Ho apprezzato il lucido articolo (domenica scorsa) di Matteo Cosenza. Il direttore del giornale ricorda le riflessioni del compianto Augusto Placanica. Potremmo andare più indietro. Alle denuncie dei Nitti e dei Fortunato, alle pagine di Strati (“La teda” narra l'alluvione del 1951) e di Francesco Perri, alle descrizioni di Isnardi e di Zanotti Bianco. Ad Alvaro, che ricordava come sulle catastrofi e le ricostruzioni si fossero formate le fortune dei famelici gruppi dirigenti regionali. Vorrei introdurre un elemento di riflessione, di meditazione: dichiarare una sorta di “sconfitta” collettiva dei “meridionali”e un disagio e un'amarezza personali. Sono andato a rileggere un mio articolo (apparso sul giornale)dopo le frane del gennaio del 2009: potrebbe essere pubblicato pari pari, cambiando i nomi delle località colpite. Sono andato a guardare i miei scritti sulla frana di Cavallerizzo, quelli che da cinque anni la ricordano, ad ogni anniversario. «Correte, correte. Il paese se ne va» aveva urlato nel buio della notte del 7 marzo del 2004 Domenico Golemme, mentre Cavallerizzo crollava e sprofondava e mentre un suo giovane nipote suonava le campane della chiesa per fare scappare la gente. E adesso a Maierato abbiamo ascoltato voci disperate: «Fuggite, fuggite, siete pazzi a restare », mentre il paese si svuota con la terra melmosa che si alza, si abbassa e cammina come nei film del “the day after”, come nel recente holywoodiano film sul 2012. Da queste parti, però, la catastrofe è continua, ininterrotta e la memoria è labile. Ogni tragedia viene assorbita, rimossa, ridotta a una ritualità inevitabile. Mi trovo spesso a domandarmi a cosa siano servite tante passioni dei meridionalisti, a cosa valgono i nostri articoli,se poi le cose vanno peggio di prima, se il paesaggio viene sempre più devastato, le colline sventrate,i fiumi sepolti e nascosti,i mari e le montagne avvelenate. Nessuno sembra ascoltare. Viene il doloroso dubbio che le nostre parole volano al vuoto, vengono attutite, ammorbidite non soltanto per colpa della politica e dei gruppi dirigenti, ma per responsabilità di una società civile (lo ricordano Cosenza e Sangineto) che non esiste e non si fa sentire. Sono note le responsabilità, i silenzi, le complicità di amministratori pubblici, di tecnici, professionisti, intellettuali, imprenditori, ma anche i cittadini continuano a trattare il territorio senza rispetto, a costruire raggirando regole e procedure, chiedendo favori, deroghe (è la terra delle deroghe, come insegnano i nostri prossimi ed eterni candidati) e occhi chiusi e si crea un circolo vizioso. Governanti e governati si sostengono a vicenda. La logica del “do ut des ” è prevalente. La denuncia non è inutile (Saviano insegna),ma occorrono iniziative concrete. Forse, è doveroso interrogarci e abbandonare la retorica identitaria, le auto glorificazioni e affermare un pensiero “alternativo”, “antagonista”, prendendo atto di tanti fallimenti e di “mille tradimenti”. I paesi crollano, se ne vanno e l'opinione “pubblica” meridionale non coglie, non raccoglie, non elabora, davvero, un pensiero soggettivo e autonomo. Non riesce a liberarsi dalla “catastrofe” della criminalità. Viviamo smemorati, nel presente, senza futuro (come ricorda Augé) e senza ricordare quello che abbiamo scritto ieri. Il “meridione” è debole perché non ha un progetto, ha una scarsa idea di sé. Vorrei interloquire con il mio amico Battista Sangineto, raffinato archeologo, perché la sua passione civile e la sua tensione politica meritano attenzione. L' invito al “commissariamento” della Calabria suona come un “paradosso”, una “salutare provocazione”che ci deve fare riflettere. Dal 1991 sono stati sciolti 41 consigli comunali, commissariati, di cui 24 nella provincia di Reggio Calabria e si tratta soltanto della punta di un iceberg. La 'ndrangheta non solo non è stata debellata da quei paesi, ma anzi si è rafforzata. I drammatici e dolenti fatti di Rosarno si sono verificati in presenza di un commissario prefettizio nel comune scelto per infiltrazione mafiosa. Mi viene in mente una filastrocca che recitavo assieme agli altri bambini: «Chiove, chiove, chiove/ E la gatta si frije l'ova/ E lu surici si marita/ cu la coppola de sita». Mi sembrava una sorta di “non sense” e invece ha un senso profondo e attuale. Mentre piove, c'è qualcuno (qualche bel gattone) che pensa a friggere uova (a pasti succolenti) e a sposarsi (o ad andare ad escort), elegantemente vestito. L'inchiesta di Firenze e le intercettazioni telefoniche hanno registrato il cinismo di chi, nella notte, mentre la gente moriva in Abruzzo, “scialava”, pregustava affari e festini. Un decreto legge (già bello e pronto) darebbe poteri assoluti a una protezione civile e possiamo immaginare come sarebbero felici criminali e imprenditori locali. La “protezione civile”(che pure ha meriti innegabili e presenta risultati significativi) non ha mai messo in campo un piano di tutela, prevenzione, salvaguardia del territorio. Chi dovrebbe decidere commissari e interventi straordinari? Bertolaso e Berlusconi? Capisco lo scoramento di alcuni amici, la loro esasperazione, il loro senso di impotenza che avvolge tutti noi, ma penso che non si possa delegare ad altri, non si possono invocare esterni “salvatori della patria” perché quando arrivano sono già “dittatori” (guardarsi intorno per credere). Non si possono, purtroppo, introdurre la “legalità”, il rispetto delle regole, l'amore per i luoghi, con decreti e con commissari.
Il problema è, dolorosamente, tutto nostro, va affrontato qui ed ora e chiama in causa noi tutti, chi più, chi meno.