Diario di viaggio a Parma: 13 dicembre 2012.

Ricordando “Il patriota e la maestra”, Antonio Garcèa e Giovanna Bertòla.

di Vito Teti

 

La hall dell’Hotel Verdi a Parma è calda, accogliente, con arredamento antico e sobrio. Dalle lunghe vetrate si scorge una nebbia densa, che fa intuire un gran freddo. Una polverina bianca che annuncia una nevicata attesa da tempo. Sono in compagnia di Roberto Olmi e della moglie Barbara, del fratello Emanuele e di Angela Malandri. Roberto, dirigente, esperto per le relazioni Europa-Medio Oriente, a Bruxelles nella Comunità Europea, ed Emanuele, noto avvocato del foro torinese, sono figli di Gian Carlo Olmi e di Irene Balbo di Venadio, discendente dei Balbo e dei D'Azeglio. Roberto ha lasciato degli impegni urgenti per potere raggiungere Parma da Bruxelles. Analoghi “sacrifici” per spostarsi hanno fatto anche Emanuele e altri discendenti di Garcèa e Bertòla. Gian Luigi Olmi (1938), professore in pensione, studioso di storie locali e familiari, che vive a Bobbio, e non può spostarsi per i postumi di un brutto incidente stradale, ha inviato una e mail, assieme alla sua gentile signora Gilda Levi Minzi, docente e donna di grande cultura, in cui porge saluti e gli auguri. È stato un generoso e puntuale interlocutore, sostenendo le mie ricerche e le mie richieste.

Schegge e memorie di una storia del Risorgimento italiano, piemontese e meridionale, se si pensa che i due fratelli sono pronipoti di Luisa Garcèa (1865-1935), la prima figlia di Antonio e di Giovanna Bertòla, e di Carlo Olmi (1855-1911), appartenente a una delle più antiche e illustri famiglie di Bobbio.

Figlio di Luisa e Carlo, quindi nonno di Roberto ed Emanuele, è stato Roberto Olmi (1880-1968), che nel 1929, colonnello a Catanzaro, ha organizzato, con le autorità sannicolesi dell'epoca (in primo luogo il podestà Vito Antonio Mannacio, padre del medico Giovan Battista) l’inaugurazione della lapide sulla casa Galati-Perri, dove è nato Antonio Garcèa. Della celebrazione esiste una cartolina e un annullo postali, corrispondenze tra Olmi-Garcèa e amministratori sannicolesi, e foto dove si scorgono anche Luisa Olmi, Graziano e Peppino Galati, altri parenti e discendenti delle sorelle di Garcèa. Roberto Olmi è stato, pure da leale militare e combattente,un protagonista della lotta al fascismo (dall'interno dell'esercito) grazie anche alla moglie Jolanda Carletti, nota come Jo’ Di Benigno, famosa scrittrice durante il periodo fascista e nel secondo dopoguerra, giornalista attenta a tematiche femminili e di costume, monarchica e democratica, antifascista. Bisognerebbe scriverne a lungo. Il figlio di Roberto e Jolanda, Gian Carlo (1922-1996), famoso avvocato a Torino e poi a Bruxelles, si è occupato di memorie familiari e ha scritto della bisnonna Giovanna e aveva in mente di scrivere del suo bisnonno calabrese, di cui custodiva carte, documenti, foto.

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In attesa della macchina che deve accompagnarci a Parma Lirica, Roberto ed Emanuele Olmi e Angela Malandri, mi raccontano episodi della loro venuta a S. Nicola da Crissa nel 1998, quando furono accolti dagli amministratori dell'epoca (Franco Teti e Pasquale Fera) e dai parenti (Nina Degni Infante, Peppino Galati, Giovanna Rosa ed Emilio Perri, Nazareno Bosco, le sorelle Bosco, le Posterare). Ricordano un paese in festa, balconi arredati con coperte, la banda per le vie del paese, il corteo e la serata in piazza. Ricordano il senso dell'umorismo dell’avvocato Mannacio; quelle sue iperboli e retoriche, che lo rendevano amabile. «Ma che volete - aveva detto in una Piazza Marconi, piena di gente - sapere dell’eroismo di Garcèa! Lo Spielberg di Pellico era una albergo a cinque stelle rispetto alle carceri borboniche». Angela Malandri, che  aveva appena finito la sua bella tesi sulla figura di Bertòla, rievoca con emozione l’accoglienza ricevuta in paese. Viene a prenderci Raffaele d'Angelo, originario di Cutro, laureato a Parma in economia, impegnato nel settore enogastronomico, che dirige, con competenza e passione, con la preziosa collaborazione di Rocco Caccavari ed altri amici calabresi, il Comitato di Azione Culturale calabrese- Calabresi di Parma l’Associazione Culturale, da anni promotore e organizzatore di iniziative culturali di qualità (lontane dalla retorica della “calabresità”), che con il patrocinio della Biblioteca Palatina, dove è custodita «La Voce delle donne», ha ideato la serata “Un futuro che nasce lontano” con la presentazione del mio libro.

Arriviamo nei locali di Parma Lirica, dove si svolge l’iniziativa. Attraversiamo le stanze di un Circolo Arci: molte persone giocano a carte e chiacchierano animatamente.  Sono già arrivate tante persone tra cui Vito Macrì, a Parma per ragioni personali, e la moglie Teresa, amici di sempre e anche questa volta, per una singolare coincidenza, preziosi compagni di viaggio. Vito è già all’opera con la sua macchina fotografica. Arrivano le emittenti locali e i giornalisti de «La Gazzetta di Parma» (che scrive dell’evento per ben tre volte) e arrivano anche cari volti del paese, che appartengono agli affetti di famiglia: Rosa Condello, figlia di Saverio, l’ amico ingegnere, Teta Tallarico e il garbato marito Gian Carlo, Bruna Martino, figlia dell’amico “zio Tom”, priore della confraternita del Rosario, e il suo fidanzato, Cosimo Pupo (entrambi laureati e impegnati a continuare gli studi nella città dove pensano di vivere). Volti che raccontano storie di fatica e di partenza, di voglia di cercare altrove una vita migliore, quella non possibile nei luoghi di origine. Volti che ritornano, fisicamente e con la mente, però alle “radici” e al paese mai dimenticato: figure che mi presentificano storie amicali e fraterne di antica data e penso, con nostalgia, a comare Rosa de Mariuzza, a comare Lisa, a “zia” Vincenza Galati (sorella di mia nonna e nonna della mamma di Cosimo), donne meravigliose che hanno influenzato, da bambino e da giovane, la mia vita. Per sempre.

Mi accoglie, con calore abituale, il notaio Pino Iannello di Vibo, indimenticabile sindaco di quella città, adesso affermato e stimato professionista nella nuova città, e poi mi abbracciano altri amici di Cirò, Cutro, Melissa, (tra loro i cari Salvatore  Pizzuti e la moglie), Gabriella Corsaro, originaria di Oppido Mamertina, soprano, esperta di musica, che ci saluta con tutta la sua bellezza e con un sorriso incantevole. Sta facendo le prove per i suoi canti di donne (uno sarà di tradizione calabrese) con la pianista russa Svetlana Kononenko e con Salvatore De Siena,  musicista e compositore, mio carissimo amico, con cui abbiamo spesso collaborato, giunto da Bologna assieme ad altri componenti de “Il Parto delle nuvole pesanti” (una solida e bella conoscenza dei sannicolesi) per partecipare anche attivamente all’iniziativa. Parma è una città a dimensione d’uomo, colta, di grandi tradizioni musicali e culturali: una città multietnica e di incontri.

Rocco Caccavari, ex deputato PCI, personaggio influente nel mondo culturale della città, è puntuale con il suo sorriso accogliente e il suo volto intelligente. Pezzi, schegge e frammenti vivi di mei mondi sparsi si ricongiungono e si ricompongono quasi per dare il senso alla mia inafferrabile e sofferta identità. Saluti, abbracci, domande, telefonate  dagli amici che, per il mal tempo,  si scusano di non poter arrivare da Bologna e da Modena.

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Arrivano da Padova Mario Garcèa (1949), il figlio Paolo (che si trovava per impegni vicino Parma), il fratello Antonio (1959). Mario e Antonio Garcèa sono i nipoti di Giuseppe Roberto Romolo, figlio di Antonio e Giovanna, nato a Reggio Calabria nel 1871, ai tempi della permanenza a Reggio e a Catanzaro, dove Giovanna diresse e fondò istituti scolastici femminili. Roberto, generale dell’esercito italiano,  partecipa alla prima guerra mondiale, dopo aver sposato a Padova Luisa Antonia Boscaro  Bozzolan, appartenente a una delle più antiche e prestigiose famiglie della città. Giuseppe Roberto ha avuto quattro figli: Antonio (1909-2010), Anselmo (1911-2011), Gian Paolo (1912-1987), Giovanni (Vanni) (1920-2006), il papà di Mario e Antonio (è stato, con la moglie e le due figlie, due anni fa per una settimana tra S. Nicola, Pizzo e S. Sostene).

Anche questo ramo della famiglia ha un profondo culto della storia e della memoria degli antenati. In particolare Gian Paolo, ingegnere all’Alfa Romeo, pittore, uomo colto, ha lasciato una storia di Antonio Garcèa Un calabrese per la Costituzione e per l’Unità d’Italia. Vita di Antonio Garcèa nelle cospirazioni, insurrezioni, carceri e battaglie dal 1837 al 1867 (agosto 1960), basato sul “romanzo storico” scritto dalla nonna, e altri due manoscritti su Graziano Garcèa, fratello di Antonio-morto a Marghera, durante l’assedio di Venezia, nel 1849; e dei icordi del Papa sui primi anni della sua vita-Appunti da me presi dopo due o tre colloqui con il Papà nell’esate del 1957. Scritti destinati ai familiari, ora pubblicati integralmente, a cura di Antonio Garcèa, Mario Garcèa, Vito Teti, sul sito dell’Unical www.dipfil.unical.it grazie alla generosità dei nipoti.

Antonio Garcèa, il pronipote, nel corso dei miei viaggi etnografici e delle mie ricerche in biblioteche ed archivi, pubblici e privati, mi ha accolto, come hanno fatto gli Olmi (a Bobbio e a Torino) nella sua casa a Padova. Mi ha mostrato e inviato in copia lettere, documenti, ritagli di giornali, alberi geneaolgici, attestati. È esistito un rapporto di scambi familiari e cordiali tra Gian Paolo Garcèa, i suoi fratelli e il cugino Gian Carlo Olmi. Lo scambio di notizie e di documenti rivela un sentimento comune dei diversi discendenti di Garcèa di mettere assieme, con precisione, i trasselli di una storia familiare e risorgimentale, nella quale tutti si riconoscevano.  Le memorie degli eredi Garcèa sono sempre suffragati da documenti e questo sicuramente è un dato apprezzabile e originale. La destinazione è interna, non ha la pretesa di raccontare la vertità storica tout court, ma le vicende di familiari.

Le memorie familiare offrono agli studiosi una microstoria significativa e originale, poco nota e rimossa, decisiva per comprendere eventi generali e nazionali. La dichiarata destinazione “privata” e la generosa offerta agli studiosi di materiali sconosciuti sono decisive per comprendere ragioni, emotività, senso della memoria, autorappresentazione di una famiglia protagonista di eventi “individuali” con una rilevanza storica più generale.

Questa storia e le altre storie della famiglia Garcèa Bertola sono emblematiche di una storia nazionale più generale: nell’arco di centocinquant’anni dell’unità d’Italia, è, davvero, una vicenda esemplare che parla di incontri e di separazioni, di viaggi e dispersioni, di desiderio di farcela e di affermarsi con riferimento a un sistema di valori cui si è educati secondo ideali liberali, patriottici, risorgimentali. Una storia fatta da uomini e donne del Risorgimento, caratterizzata da sacrifici e da entusiasmi, da successi e da delusioni, segnata da rivolte, repressioni, passioni, amori, tradimenti, catastrofi, terremoti e guerre, viaggi, mescolanze, dispersioni.

Una storia esemplare perché rivela come l’Italia unita sia stata una costruzione complessa, con articolazioni, affluenti, ramificazioni, ombre, luci. Un crogiulo che a seperlo leggere appare in tutta la sua positività e originalità e che soltanto pretestuosamente si può immaginare un’identità nazionale che non sia aperta, plurale, dinamica, fatta di storie di apparteneze locali e insieme di legami e rapporti indissolubili e difficilmente separabili.

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Una sera dello scorso inverno, per telefono, Antonio, man mano che si stabiliva tra noi un rapporto di stima e amicale, mi accennò alla divisa garibaldina del prononno. L’avrebbe recuperata, ma con calma, ora era depositata in un antico palazzo, di proprietà del fratello Mario, che non vi tornava da tempo. Intanto mi inviava il diploma originale di laurea di Anselmo Garcèa, padre di Antonio, quasi a rassicurarmi che, prima o poi, sarebbe uscita fuori anche la divisa. Ho atteso per mesi, intenzionato a mettere la tenuta garibaldina come immagine di copertina del mio libro. Garcèa, come altri patrioti, si erano fatti seppellire con i panni che aveva indossato in carcere. La divisa garibaldina non  compariva, sembrava scomparsa, e temevo che fosse andata persa per sempre.

Ed ecco, adesso, 13 dicembre 2012, che Antonio mi abbraccia, mi saluta, sorridente, col suo sguardo interlocutorio e aria da bambino felice mi dice: «C’è una sorpresa…» e gira lo sguardo verso una bella 24 ore in pelle rigida, poggiata ai piedi del nipote Paolo. Capsico subito e vengo colto da una forte emozione. La divisa di garibaldino di Antonio Garcèa, integra, ben custodita, con il suo vivo colore originale, quasi pronta per essere indossata, fa il suo ingresso in scena, all’ultimo istante, quando meno te lo aspetti. Come nei film d’avventura, a lieto fine. La divisa viene appesa, alla meglio, ad un attaccapanni mobile in prossimità del tavolo dei relatori. Cattura l’attenzione di tutti. Ognuno vuole guardarla, toccarla, farsi fotografare.

Gli “oggetti” si sa sono un feticcio, parlano, ricordano, appartengono alle persone che le hanno possedute, quasi ne raccontano e ne continuano la vita dopo morti. Nella nostra società tradzionale i “panni” delle persone scomparse ne custodivano e ne raccontavano la storia, Non venivano buttati, ma tutt’al più dati ai familiari o agli amici. Delle migliaia di lettere, foto, carte processuali, attestati, che ho consultato, questo “documento” è il più prezioso, il più veriterio, il più bello. Le fonti, scritte e orali, pure nella loro capacità di documentare, possono apparire fragili, tendenziose, manipolabili: gli oggetti hanno un’altra capacità di “attestare”, ricordare, evocare. La serata continua con la presentazione de libro: portano i saluti Raffaele D’Angelo e Rocco Caccavari, Sabina Magrini, direttrice della Biblioteca Palatina.  Fanno la loro relazione Gino Reggiani e Angela Malandri. Racconto la lontana origine di questo mio libro (parlo delle Posterare, di don Anselmo, di pappù Colacchiu): una ricerca sulla memoria della mia piccola patria e della più grande patria, parlo del periodo a Parma di Antonio e Giovanna, sottolineo il culto della memoria dei discendenti dei due. Salutano e ringraziano Roberto Olmi e il giovane Paolo Garcèa: parole sobrie, efficaci, che arrivano al cuore. Ringraziano, mentre Garcèa sembra guararci attraverso la sua divisa, quasi stupito di questo suo ulteriore viaggio e di questa sua “durata” ai tempi e alle intemperie della storia. La cena (con splendido menù dell’ottima cucina della città e con vini e formaggi calabresi) è un momento di convivialità, di scambi, di conoscenza. Si organizzano altri appuntamenti: Padova, Bobbio, Torino, Mondovì, Venaria, Bruxelles, Montefusco, Napoli e altre città d’Italia e paesi di Calabria. Saluti. Affettuosità. Mario e il figlio Paolo sistemano, con religiosa attenzione, come alla fine di un rito, la divisa garibaldina nella loro valigetta. Viene ereditata per linea maschile e un giorno passerà, quasi certamente, a Paolo. In ottime mani, nella mani di chi ha avuto memoria e ha ascoltato i racconti dei padri. Antonio Garcèa, morto nell’ospedale Santo Spirito di Roma, è stato sepolto in una fossa militare comune. Non sappiamo dove si trovi il suo corpo. Quella divisa sembra contenerlo, abbracciarlo, mostrarlo nella sua nudità e verità, nella sua forza e nella sua fragilità, nei suoi patimenti e nelle sue gioie, nelle soste e nei viaggi delle battaglie. Forse, un giorno, in un Museo del Risorgimento o a S. Nicola, in un Museo adeguato, ben organizzato, in un sezione dedicata al “patriota e alla maestra” e al Risorgimento italiano, potrebbe trovare una bella collocazione e così Garcèa potrebbe avere una “sepoltura” simbolica nel suo paese di origine. Assieme all’aorta di Poerio, custodita nella Biblioteca Comunale del paese, alle migliaia di documenti e immagini disponibili nel mio archivio, in un percorso guidato, la divisa sarebbe elemento di grande attrazione. Adesso è presto per pensarci. Dipenderà dalle volontà, dagli eventi, dalla reale capacità del paese di saper custodire e raccontare la propria storia, in maniera problematica, senza localismi, senza retoriche, saldandola a vicende nazionali ed europee e non a minuti e irrilevanti e angusti avvenimenti, che le giovani generazione, per fortuna, non vogliono ascoltare.

Intanto è stata avanzata, ufficialmente, la proposta che Parma, magari in prossimità delle strade dove visssero i due, abbia una via o una lapide intitolate ad Antonio Garcèa, patriota calabrese, e a Giovanna Bertòla, maestra di Mondovì. Simile proposta verrà fatta a Mondovì, Reggio, Catnzaro (e penso che anche a S. Nicola la Bertòla e il patriota sconosciuto, da me ricordato, Francesco Ursia trovino anche un luogo dove essere ricordati). Le piccole memorie diventano grandi memorie, se custodite, alimentate, fatte viaggiare, assunte a tracce per raccontare storie più ampie e più generali.

 

Ringrazio gli eredi di Garcèa e Bertòla, che hanno colto lo spirito di una serata indimenticabile, rendendola unica, cin la loro presenza, Gino Reggiani e Angela Malandri, Raffaele D’Angelo e Rocco Caccavari, e gli amici calabresi e sannicolesi presenti all’iniziativa, e ancora la soprano Gabriella Corsaro, Salvatore De Siena e il “Parto delle nuvole pesanti”, la direttrice della Biblioteca Palatina.  

A tutti coloro che leggono, agli amici sannicolesi sparsi nel mondo, gli auguri più affettuosi per il Natale e per il Nuovo Anno.