Da “IL QUOTIDIANO” del 10/04/05
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IL SOFFIO DELLA VITA
di Giancarlo BREGANTINI
Vescovo di Locri-Gerace
Soffiava un leggero venticello, sul sagrato della basilica, nella mattinata del funerale del Papa Giovanni Paolo II, un venticello birichino che muoveva con rapidità e capriccio le pagine del libro, solenne, posto sulla cassa di cipresso, nel cuore della piazza. Scompaginava anche gli zucchetti dei cardinali e dei vescovi, quasi un monito, per dirci che è sempre lo Spirito, che soffia dove vuole, a guidare i fatti della nostra vita. La vita di oggi, nella mestizia di questa chiesa in lacrime; di ieri nel cammino straordinario di Giovanni Paolo II e di domani, nella scelta del nuovo Papa, per il quale ogni cuore sta intensamente pregando.
Il funerale è stata una vera festa della vita.
Una liturgia sobria e solenne, che scandiva tempi eterni. Tanti cuori a pregare, tanti giovani a dire grazie, tante lacrime sui volti. Anche di cardinali e vescovi, mentre scendeva solenne la cassa, rude e sobria, posta là nel mezzo, con quell’umiltà estrema di un Papa che ha saputo scendere tra le folle di ogni continente, si è piegato sui bambini, ha incontrato i poveri e ha saputo chiedere scusa per i peccati di certi uomini di Chiesa lungo i secoli, fino a scendere nell’enigma di un dolore muto e coinvolgente.
E’ stata una liturgia che molto ha ricordato e molto affidato. Ha ricordato con sobrietà, perché bastavano pochi cenni per strappare un applauso, nella bellissima omelia funebre del cardinale Ratzinger, perché ogni passo scandiva un pezzo della sua vita. Tutti incastonati nel seguimi, letto a conclusione della ben scelta pagina di Vangelo, nel celebre dialogo tra Gesù e Pietro.
Parole di gratitudine, per quanto Giovanni Paolo (nome spesso ritmato con amore dai giovani) ha donato all’immensa folla “silenziosa e adorante”, con quasi tutti i capi del mondo ai suoi piedi, per invocare pace. Con segni espliciti di pace, realizzata in strette di mano fino a ieri impensabili, incoraggianti per i futuri destini del mondo.
Quasi a dirci che certi appelli alla pace, che il Papa tenacemente ha rivolto al mondo, anche con cuore trepidante (ma che spesso non hanno trovato spazio di ascolto nel cuore duro di certi governi), ora quegli appelli sono stati recepiti, con evidente speranza reciproca.
E’ il Vangelo della Pace, che Lui sempre, sulla scia di Cristo, ha predicato, che soffiava con impeto sul sagrato della Basilica. Instancabile, come quelle colombe sulla sua finestra.
Ora, la celebre finestra è rimasta chiusa. Ma lui di certo, dalla finestra del cielo, benediva tutti noi. Perché “sta alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice!”, come con finezza ci indicava l’omelia del cardinale Decano.
Quattro le chiamate del Cristo, esplicitamente ricordate da Ratzinger, nella vita di questo Papa: da giovane prete, da vescovo, per il papato e infine la chiamata alla sofferenza.
Il primo seguimi, Cristo glielo ha detto mentre, giovane poeta e drammaturgo, sognava di calcare i palchi della vita di attore, con voce chiara e piena. Una voce, quella del Cristo, che lo ha raggiunto anche nelle industrie chimiche, per chiedergli di lasciare tutto e di seguire un futuro diverso. Ed eccolo prete, come buon Pastore, che dona la sua vita, sempre, con slancio giovanile. Modello del gregge, prete fino in fondo. Senza compromessi.
Fino a quando, sulle rive intatte di un lago, mentre avanza silenzioso con la sua canoa, gli giunge un altro Seguimi. Diventa vescovo, a soli 38 anni, con dedizione infinita, scelte nuove e coraggiose, cuore ardente, mente aperta al nuovo.
E nel 78, a Roma, durante il Conclave, un’altra volta Cristo lo chiama, con la stessa voce, cui non può dir di no. Da Papa, tutti lo ricordiamo. Ci si imprime nel cuore, oggi, in questo contesto di dolcezza e di melanconia, soprattutto il suo amore a Cristo: “Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti amo!”. E in questo amore al suo Cristo, ha attratto folle infinite di gente, soprattutto di giovani. Perché essi, come è facile evincere dal serpentone umano della piazza di quest’ultimi giorni, amano e sono attratti dalla santità. E’ del resto proprio questo l’appello pressante, esplicito, rivolto ai cardinali, per il criterio di scelta del nuovo Papa: non sia un diplomatico, ma un santo!
Ed ecco, l’ultima chiamata, negli ultimi anni, quando il Papa, ormai vecchio come San Pietro, vede la sua vita appesantita. Qui, nella sequela radicale ed eroica al Cristo Crocifisso, che lo ha di nuovo chiamato con voce ancora più forte ed intensa, ha dato al mondo un segno atteso. Quel mondo che non vuole vedere il malato né farsi carico del limite, ha sentito in Lui, fragilissimo, un monito decisivo: l’amore spiega la sofferenza. E la sofferenza brucia e consuma il male e sa trarre anche dal peccato una multiforme forza di bene.
Quel suo silenzio, delle ultime settimane, è stato immensamente eloquente e fecondo. Il resto, è cronaca, che abbiamo seguito dalle immagini televisive. A me, vescovo di Locri-Gerace, presente sul sagrato a nome di tutti voi, è sgorgata nel cuore una duplice preghiera: possa io seguire i passi di questo Pastore. Lui che in diverse circostanze, ho incontrato personalmente e tanto mi ha insegnato, affretti il mio passo, sempre più, sulle strade della santità. Ho poi chiesto, per la Chiesa e per il mondo, di ritrovare unità e pace. Per questo ho immensamente gioito quando si è cantata in greco e in arabo un’antichissima antifona sulla resurrezione di Cristo. Credo che non mai sia avvenuto questo segno. Per la prima volta, a Roma, le tre lingue antiche si sono mirabilmente intrecciate in una liturgia funebre di un Papa: latino, greco e arabo. Come non vedervi un ulteriore dono del cielo, che ci avvolge e ci indica la strada della vita, celebrata con ricchezza di segni in questa liturgia, che ha attraversato e abbracciato il mondo intero?
La gente, con quella sua fede genuina e schietta, lo ha già proclamato santo. Più volte, intensamente lo chiedeva. Quasi un anticipo, presente nel cuore di tutti noi.
E mentre quella bara, per l’ultima volta, realmente lasciava la piazza, scenario del mondo, si cantava un inno a Maria, dolcissima, benedicente. Con un ultimo richiamo, tenero, alla vita di Wojtyla: lui che aveva perso la sua mamma da ragazzo di nove anni e che aveva visto in Maria la sua vera e fedele Madre, ora è veramente tutto suo. Lei, che egli tanto ha amato e che da lei tanto ha imparato, non mancherà certo di condurlo alla perenne gioia, nell’abbraccio fedele del Cristo suo Figlio. Le lacrime si asciugavano man mano che la gente usciva dalla piazza, sotto un sole ormai pallido. Per poi piangere anche il cielo, in una pioggerellina, caduta al momento giusto, quando ormai la folla aveva lasciato quello scenario. Sia come una rugiada, feconda di bene, con la forza del venticello scherzoso, per la scelta di un volto nuovo, che sappia continuare con dolcezza e fermezza il solco di Giovanni Paolo II.