28 SETTEMBRE 2005 - Riceviamo  dall'avvocato Domenico Teti quest'e-mail e volentieri la pubblichiamo.

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L’incidente di Sassocalvo

 

Caro Priore,

un amico che risiede nel ridente paesino di Sassocalvo mi ha chiesto un’opinione in merito ad una vicenda che riguarda le confraternite di quel luogo. Trattandosi di questione di interesse confraternale, ho pensato di trasmetterti le mie considerazioni, lasciando a te la valutazione sull’utilità di un’eventuale loro diffusione.

A Sassocalvo sono attive due antiche confraternite, una intitolata a Santa Pazienza Martire e una a San Candeloro Abate. Come è accaduto in tanti altri luoghi, specie del Centro-Sud d’Italia, le congreghe hanno avuto una lunga controversia per il posto d’onore nelle manifestazioni comuni, in termini giuridici per il diritto di precedenza. La questione andò a finire, a suo tempo, davanti ai Tribunali ecclesiastici, i quali stabilirono inappellabilmente che la precedenza spettava alla congrega di Santa Pazienza. Per molti decenni la sentenza ecclesiastica è stata rispettata senza incidenti di rilievo.

Ora è accaduto di recente che in occasione della processione del Patrono del paese San Teodonzio, due o tre confratelli di San Candeloro, invece di prendere posto nei ranghi della loro congrega, che apre il corteo, si sono presentati, in divisa, pretendendo di fungere da portatori della statua del Patrono, presso la quale è schierata la congrega di Santa Pazienza.

Sembra che le giustificazioni addotte in favore dei transfughi siano state diverse: qualcuno ha sostenuto che i confratelli in questione volessero esprimere la propria particolare devozione al Santo. Altri hanno detto che erano stati addirittura chiamati in soccorso dagli altri portatori, a causa della particolare pesantezza della statua. I soliti malpensanti hanno dedotto che si sia trattato, semplicemente, di un escamotage di quelli di San Candeloro, che in realtà non hanno mai digerito l’esito dei processi ecclesiastici, per riaffermare una qualche presenza di quella congrega vicino al Santo, nel posto d’onore.

Ovviamente i più rigorosi ed osservanti congregati di Santa Pazienza hanno fatto rilievi anche vigorosi davanti all’evidente anomalia; ma l’autorità ecclesiastica e la stessa maggioranza dei fratelli della congrega più nobile, pro bono pacis e per non turbare lo svolgimento della funzione, hanno chiuso un occhio.

Ora però i congregati di Santa Pazienza esprimono una preoccupazione: cosa succederà se quelli di San Candeloro insisteranno nel perpetrare l’abuso? Si mette in questione il diritto di precedenza giudizialmente riconosciuto? E come rimediare?

Il mio parere sulla vicenda è il seguente.

Innanzitutto ritengo che la presenza di due, tre (o quanti che siano) congregati di San Candeloro vicino alla statua non abbia alcun significato ed alcuna conseguenza sul piano strettamente giuridico.

In effetti la confraternita è – anche visivamente – un corpo unico, e la sua posizione nelle processioni, anche ai fini del diritto di precedenza, viene in considerazione in quanto essa proceda “collegialiter sub propria cruce vel vexillo et cum habitu seu insignibus associationis”, come diceva il can. 701 § 3 del Codex Iuris Canonici del 1917.

In altre parole, la confraternita è là dove i congregati procedono collegialmente, seguendo la propria bandiera e guidati dai dirigenti con le rispettive insegne. Altri congregati che, con l’abito indosso, si trovano al di fuori di quel contesto, non rappresentano la confraternita, ma sono semplicemente dei “cani sciolti” che procedono disordinatamente e la loro posizione dislocata non reca affatto decoro al proprio sodalizio, bensì testimonia semplicemente la difficoltà di quella dirigenza a mantenere l’ordine e la disciplina tra i proprio aderenti.

Da un punto di vista del diritto, quindi, la “delocalizzazione” dei fratelli di San Candeloro non reca pregiudizio al jus della congrega di Santa Pazienza né vale come possessio juris per San Candeloro, tenendo anche conto che avviene per mera tolleranza ed urbanità dei legittimi titolari del diritto.

Un’altra considerazione io la farei sotto un rispetto non giuridico-formale, ma, se così posso esprimermi, di stile. Se fossi un dirigente di San Candeloro impedirei con fermezza l’iniziativa dei transfughi, perché potrebbe suonare come manifestazione sgradevole di un inane revanscismo. Per dirla in altri termini, quelle sparute mantellucce di San Candeloro, acefale e adespote, in un posto che non gli compete, potrebbero suonare come l’ammissione di una frustrazione storica, come un simbolo eclatante del “vorrei ma non posso”. E una simile, penosa espressione di velleitarismo non giova certo alla dignità del sodalizio, semmai la sminuisce.

Ferma restando l’assenza di conseguenze giuridiche dell’impropria collocazione dei fratelli acefali di San Candeloro, essa rimane un disordine ed un abuso dal punto di vista liturgico e disciplinare. Spetta quindi ai dirigenti della confraternita di Santa Pazienza denunciarlo, nelle opportune forme, in spirito di carità ma anche di verità, all’autorità ecclesiastica a cui compete di correggerlo.

I confratelli di San Candeloro, se veramente sono mossi da una particolare devozione verso il Patrono, avranno modo di esprimerla optando per la funzione di portatori e rinunciando alla divisa, per quell’occasione. Sono due modi diversi, altrettanto validi, ma per loro non compatibili di onorare il Santo.

Non sembra giustificabile che, per soddisfare le loro aspirazioni particolari, si turbi il retto ordine delle funzioni sacre e la stessa tranquillità della comunità cristiana.

Questa è l’opinione che ho maturato in merito alla vicenda di Sassocalvo. Se riterrai, caro Priore, di renderla pubblica, sarò lieto di confrontarla con il parere di altri competenti.

 

Domenico Teti