Dalla BARCUNATA di luglio 2005
______________________________________________________
Questa è la vera!
di Vito Galloro
1° settembre 1973 : Roberto Murolo , O suspire ‘e Napule”, incanta il pubblico di Piazza Marconi.
Cronaca di una magica notte di fine estate con le delizie della tavola sannicolese a far degna cornice ai capolavori eterni della grande musica napoletana.
**********
Raccolto
l’ultimo caloroso applauso il maestro Roberto Murolo veniva affettuosamente
sospinto dalla scaletta del palco di piazza Marconi verso la sala della Congrega
situata sotto la chiesa mentre le luminarie della festa si andavano spegnendo
lasciando negli spettatori quel senso di rassegnata insoddisfazione che
accompagna la fine di ogni bel gioco.
E’ vero! Gli anni ruggenti del Festival Folk, che tanto lustro avevano conferito alla Confraternita del Crocefisso e a tutto il paese di S. Nicola, sembravano ormai tramontati e quella serata di sabato 1° settembre 1973 si profilava,nelle previsioni, come figlia di un dio minore con le annunciate esibizioni dei soliti noti Otello Profazio, Gery Palamara, Enzo la Face e del Gruppo Folk di Vibo. Avrebbe potuto la presenza dell’artista napoletano rinverdire i fasti degli anni precedenti?
Il miracolo si avverò. Roberto Murolo era riuscito a nobilitare superbamente la serata del sabato accendendo entusiasmi incredibili con quella voce elegante nella sua purezza che sapeva divertire ma soprattutto commuovere. Aveva dunque meritatamente conquistato la 4^ Vozza d’Oro ricevendola dalle mani del presidente della commissione Saverio Mancini.
E mentre il pubblico sciamava pigramente verso casa Pino Lavecchia (autentico antesignano dello spirito bipartisan tanto di moda ai giorni nostri), riluttante a smobilitare a quell’ ora ventiquattresima, convinse me e gli altri amici vicini (Mico e Pino Pileggi, Mico Tallarico, Vito Teti e altri) a seguire gli artisti sotto alla sala “ca ja o orgio o pajja nesce”. Mai previsione fu più azzeccata!
Nella sala della Congrega era stata preparata al solito una fugace colazione di commiato dagli artisti prima della loro partenza.
Otello Profazio ancor prima di sedersi affondò le mani in uno dei vassoi su cui Lisa Bellissimo (de Cicilia) aveva appena depositato una soppressata affettata giustificando l’impazienza col sicuro piglio dell’intenditore: “Maestro chisti su soppressati i Santu Nicola!” Come dire: prelibatezza assicurata che esime dal rispetto di ogni galateo!
Sul tavolo facevano bella mostra olive di tutti i colori e di tutte le tipologie,soppressate,capicolli ,formaggio pecorino,melanzane e pomodori sott’olio e naturalmente del buon pane e vino di casa.
Murolo cominciò ad assaggiare nettamente con più garbo rispetto all’arrembante Otello ma appena assaporò la prima fetta di soppressata esclamò giubilante pur nel suo tratto discreto e signorile “Oè guagliò! Ma chista è ‘a vera soppressata di Santu Nicola!” espressione che se da un lato scatenò l’ilarità dei presenti dall’altro rappresentava un sicuro viatico verso la piega dilettevole che quella nottata era inevitabilmente destinata ad assumere.
A Otello, pescato in contropiede durante il suo primo pit stop sul circuito di salami e formaggi, fu richiesto di sfoderare la chitarra per allietare quella gioiosa adunanza .
Il cantastorie reggino,evidentemente desideroso di non essere distratto “cu canti e cu sone” dalle delizie di quella tavola avrebbe ben potuto rispondere “ma che volete da me giovani ingrati;non è ancora giunta la mia ora!” Si trincerò invece dietro quello che è subito sembrato un poco credibile pretesto: lo strumento era già stato imballato nella custodia e riposto nella macchina (!?).
Mico Pileggi avvicinando d’impulso ma con discrezione al mio orecchio i suoi baffetti biondi, mi sibilò “Iju a mia no mi futte! Va’ pijja la chitarra tua” lasciando intendere che sarebbe stato imperdonabile rinunciare alla ghiotta occasione di una nottata in musica con la presenza di due artisti di quella caratura.
Già,La mia chitarra!Avevo cominciato a prender lezioni in quell’inverno appena trascorso seguendo i miei due primi,e come tali indimenticati, maestri Nicolino di Salerno e Saro Papa.
Era stata una decisione poco sofferta, seppur assai tardiva, quella di apprendere gli accordi fondamentali, posto che la mia non disprezzabile voce di quell’epoca (nulla a che vedere con quella sfiatata di questi ultimi anni) aveva bisogno di un personale e autonomo supporto musicale in un contesto storico-ambientale in cui le lunghe estati sannicolesi vivevano nella notte la loro apoteosi e una notte senza chitarra a S. Nicola era come Rio senza il carnevale,Napoli senza la pizza o,detto alla paesana, ”nu luni de Pasqua senza na suppressata”.
In quegli anni la voglia di divertirsi era tanta,le comitive numerose,gli itinerari pure e spesso capitava che queste,di ritorno dai più svariati posti ove si era sanamente gozzovigliato, si incontrassero nei giri di serenate che finivano,nella migliore delle ipotesi,non prima delle tre del mattino.La chitarra, marca Estudiantina, era stato un graditissimo regalo di mio cugino Pino Iozzo il quale, nessuno ci crederà, l’aveva vinta quale primo premio alla riffa d’inaugurazione del circolo Arci nella sua originaria sede di via Roma.
La chitarra arrivò e fu subito offerta a Otello il quale, un po’ svogliatamente cominciò ad intonare qualcuna delle sue filastrocche. Rapidamente però me la riporse esclamando, amabilmente infastidito, “ma ‘ndaviti tanti belle canzoni a Santi Nicola, cantati vui e fatimi u mi gustu stu beni ‘i Diu!”
Imbracciai la “zorva” (nomignolo scherzoso attribuito allo strumento in quegli anni gloriosi dall’immarcescibile mastro Toto Marchese, magnetico affabulatore giocherellone e riconosciuta guida artistica di tutti quelli che a quell’epoca avevano voglia di suonare) e col gruppo di amici di crapule e serenate cominciai a sgranare il nostro repertorio: ”Maritati, maritati figghiola”, “Su sonati l’undici e menza”, “o Frunda”, ”Figghiole chi b’aviti a maritari.”
A un certo punto Pino Lavecchia mischiando,com’era solito fare, il sacro con il profano, attaccò “Mi partu de sta terra alla bon’ura” e nel corso dell’esecuzione vidi Otello stranamente distaccarsi dall’amato bouffet, fino a quel momento sua unica pre-occupazione, e seguirne con scrupolo l’esecuzione. Alla fine applaudì entusiasta meravigliandosi di non conoscere quel bel canto. Estrasse da una propinqua borsetta un piccolo registratore e chiese all’uopo un bis graziosamente concesso.
L’accorata richiesta di Otello ebbe l’effetto di un corto circuito nel mio cervello. Mentre le dita eseguivano i facili accordi di accompagnamento un viaggio repentino nella memoria mi riportò alla mia infanzia, a cavallo fra gli anni ’50 e ‘60 e ai lunghi preparativi, cui partecipavo con passione, ai quali veniva sottoposto il leoncino di mio padre per poter trasportare i fedeli sannicolesi in pellegrinaggio alla madonna di Seminara il 13 e 14 di agosto di ogni anno.
Ricordi suggestivi e pieni di fascino che potranno essere sviluppati in un prossimo intervento a discrezione del comitato di Redazione.
Intanto la sala si era riempita. Quanti volti felici e sorridenti, in quel bello e improvvisato dopofesta, di confratelli che, come dicono gli Alpini, “sono andati avanti”:da mio padre, per il quale la sera di sabato del Crocefisso rappresentava l’unica uscita serale dell’intero arco dell’ anno, all’avv. Mannacio, Ciccio Nano, Micuzzejo Martino (de Ciurdu) che intonavano assieme al gruppo canoro. Ricordo la felicità pacata del farmacista Marchese e di Peppino Cina e quella più goliardica del dr. Titta Mannacio e Peppino Galloro (Sambiasino); l’esuberante partecipazione conviviale di Giuseppe Cosentino (Peppuccè) e i gioviali commenti di Tommaso Ficchì meglio noto come Toto Lu Gattu. Titta Bellissimo e Nicola Pirone, nel frattempo, erano indaffarati, sotto lo sguardo premuroso del priore Antonio Teti, nell’organizzazione di quell’evento che, nato per caso e all’improvviso, andava comunque gestito al meglio.
Grande fu l’ilarità generale allorché comparve sull’uscio della sala Mico Congiustì che agitando nelle mani due impagliate di vino con quel suo caratteristico tratto più amabile che sornione salutò gli astanti esclamando “Questa è la vera!”
Detto per i più giovani era lo slogan, da lui coniato ma subito fatto proprio da tutta la nostra generazione, con il quale l’indimenticato Mico dava la sua benedizione ai luoghi del vero e sano divertimento. Un “E’ qui la festa!” ante litteram che scaldava i cuori e invitava a sollevare i calici in un sincero anelito di gaudente fratellanza.
Murolo (cui piacque tanto il brano “Vieni o diletta c’arriva l’ura” dalla musicalità evidentemente affine alle melodie del suo repertorio) ascoltava con sorridente attenzione annuendo con delicati gesti del capo mentre altrettanto delicatamente continuava a rendere omaggio alle delizie gastronomiche presenti sulla tavola e la cui quantità andava sempre più aumentando in una sorta di miracolo dei pani e dei pesci che vedeva Lisa, coadiuvata da Vittoria Iozzo (de lu Scere), come operatrice infaticabile.
Allorchè Lisa aprendosi a fatica un varco tra la folla riuscì a guadagnare la testa del tavolo ove erano seduti i due cantanti, reggendo in mano una tiana di “malangiani chini”, Otello alzando gli occhi al cielo proferì solenne: “Chissi cu l’atri Santissimu Patri!”
Murolo,invece, alla vista del rosso del pomodoro, visibilmente soddisfatto della piega che andava prendendo la nottata, esclamò “A signò, e mo puru o rraù aviti fattu!” Seguì una risata generale che l’artista placò subito con un gesto della mano manifestando l’intenzione di recitare una poesia del suo grande conterraneo ed amico Eduardo De Filippo dal titolo, appunto, 'O 'rraù della quale confessò essere innamorato e il cui testo viene qui di seguito proposto con amabile dedica a tutte le nostre mogli in suffragio della loro eterna, universale, patetica e inane guerra contro le suocere.
'O rraù ca me piace a me
m' 'o ffaceva sulo mammà.
A che m'aggio spusato a te,
ne parlammo pè ne parlà.
io nun songo difficultuso;
ma luvàmmel' 'a miezo st'uso
Sì,va buono:cumme vuò tu.
Mò ce avéssem' appiccecà?
Tu che dice?Chest' 'è rraù?
E io m' 'o mmagno pè m' 'o mangià...
M' ' a faja dicere na parola?...
Chesta è carne c' ' a pummarola.
Io accompagnavo la sua recita, artisticamente mimata, con un arpeggio di chitarra quindi approfittando dell’ovazione finale fui lesto a far scivolare lo strumento nelle sue mani per dare finalmente avvio a quel clou della serata che era nelle fervide aspettative di tutti i presenti.
Il clima di contagioso entusiasmo ormai diffusosi nella sala non concesse scampo al maestro. Sorridente imbracciò la chitarra e deliziò la platea con una mezza dozzina di brani, monumenti della tradizione napoletana, tutti a richiesta e tutti inediti rispetto a quelli già eseguiti sul palco. Un silenzio a dir poco religioso accompagnò quell’indimenticabile esibizione rotto naturalmente da scroscianti applausi alla fine di ogni pezzo. Allorchè accennò a riconsegnarmi la chitarra non resse alla corale manifestazione di cordiale dissenso e riprendendo lo strumento concluse con “Reginella” in cui volle la nostra partecipazione nel ritornello. Era ormai un'apoteosi!
Altro che concerti live dei rockettari moderni! Che delizia ascoltare quella voce purissima che nella ristretta intimità conviviale appariva ancor più armoniosa e coinvolgente. Restai come incantato a contemplare il movimento delle sue dita mentre riuscivano ad estrarre, per autentica magia, un armonico mosaico di suoni da una chitarra del valore di poche decine di migliaia di lire!
E l’armonia artistica di Roberto Murolo non mancò di mostrarsi coerente con quella dei suoi più profondi interessi culturali allorchè, avendo appurato l’appartenenza della nostra venerata statua del Crocefisso all’arte scultorea del Settecento napoletano, la volle visitare nel pieno della notte.
Riaffiorano ancora prepotentemente nel mio ricordo gli occhi velati di intensa commozione dell’avv. Mannacio nell’atto di declinare al maestro le note salienti della plurisecolare storia della Confraternita. Murolo ascoltava rapito e il drappello dei presenti si sentì scosso, nel cuore della notte, da tutte quelle suggestioni e indescrivibili emozioni che da sempre quella Statua sa suggerire alle corde più profonde dell’anima.
Quindi uscimmo a riveder le stelle appagati da un'incredibile e sorprendente serata che a distanza di oltre 3 decenni si fa ancora ricordare con immutato entusiasmo.
P.S. A seguito della morte del maestro Roberto Murolo avvenuta il 13 marzo 2003, ho scelto di mettere in quiescenza quella chitarra che in una memorabile notte di fine estate ebbe la ventura di essere suonata da un Artista impareggiabile. Attendo fiducioso che un auspicabile prossimo " E. T. O. S." (Ente per la Tutela dell’Orgoglio Sannicolese) la dichiari bene di interesse storico della Comunità e come tale lo acquisisca all'istituendo museo.