3 maggio 2006
Tengu nu fratello giudice
e unu killeeer
di Giuseppe Condello
E’questa la frase più conosciuta di Monsieur Terracciano Jean di Acerra, umile immigrato di questo nostro paese.
Giuvanni lu Napulitanu, come gli amici solevano chiamarlo, fa’ parte di quella schiera di umili “Beoni” che tanto hanno contribuito a caratterizzare il quotidiano agire sannicolese.
Basta ricordarne altri, che per la mia non celata abitudine di frequentare i bar del paese, ho avuto modo di conoscere ed apprezzare nella loro sincerità, voglia di vivere col sorriso agli occhi,capacità di ascoltare.
Due su tutti: Stefano “Tecco”, ideatore del Po-Pom, nonché indiscusso ed indiscutibile Presidente della Confederazione degli Stati Balcanici e “Truciolo”, instancabile osannatore del “Mondo Bastardo”, ma anche altri che hanno contribuito a svilire il Perbenismo del nostro modo di pensare, con comportamenti per molti al di fuori delle righe, ma spesso frutto di una normale esigenza di porsi in qualche modo al centro dell’attenzione.
Il fratello Giudice, a dire il vero, non era altro che un normale impiegato della Pretura di Napoli ed il Killeeer, invece, un normale operaio condannato per rissa in luogo pubblico, ma lui amava esagerare.
Aveva iniziato a bere in modo esagerato da quando era venuta a mancare la moglie Nunziata, conosciuta durante i suoi diciotto anni di lavoro in Francia, morta di tumore, che aveva assistito con grande affetto.
Io avevo modo di conoscerlo più di molti altri perché ero uno dei pochissimi che riusciva a capire il suo modo di parlare,un dialetto che era un misto di napoletano con chissà quale lingua.
Ero da lui chiamato “Professore”, forse in senso di stima verso mio padre o forse per esagerare la sua deferenza; era tipica del suo parlare, si rivolgeva a tutti con rispetto, basta pensare che i Carabinieri di qualsiasi grado erano per lui “Comandante”.
Mi sovviene adesso a tal proposito un simpatico aneddoto, verificatosi nella scorsa estate, allorquando in una dell’afose serate dell’agosto sannicolese, mi ritrovai a Piazza Crissa con Vito Teti, all’imbrunire, seduti a ristorarci dall’afa pomeridiana ed a scambiare qualche battuta sull’estate in corso.
Durante la nostra chiacchierata arrivò Giuvanni con la sua fiammante Peugeot e parcheggiò vicino a noi gridandoci: “Professore,….professò”.
A quel punto Vito si alzò e si avvicinò a lui per vedere cosa desiderasse.
Ma Giuvanni con fare disbrigativo gli disse: “No, non dico a voi dico a lui” ed indirizzandosi a me chiese notizie sulla pensione francese che gli stavo seguendo tramite il sindacato.
A quel punto Vito si mise a ridere esclamando con la sottile ironia, di cui solo un grande studioso come lui può essere capace: “Compare Giuseppe, mi futtisti…. Non mi servianu tutti si cazzi de studi, bastava sulu mu staju de cchiù alla chiazza”.
Altri episodi simpatici e scherzosi hanno caratterizzato la sua permanenza, sempre all’ombra e mai eccessiva, a San Nicola.
E’finita come è finita. Giuvanni è morto solo, in un letto d’ospedale, assistito ed imboccato negli ultimi giorni da Pasquale Fera, Carmelo Iozzo, Ingenuo Eugenio, Papa Maria Rosaria, Galloro Caterina, Cosentino Antonio, Cina Maria Rosaria, il nostro parroco don Domenico Muscari ed altri che hanno cercato di aiutarlo alla meno peggio fino alla fine.
E’ morto vittima dell’alcool, ma anche e soprattutto della solitudine, dell’indifferenza e del nostro perbenismo.
Si è spenta un’altra piccola, ma umile lampadina fra le mille inebrianti luci della Vita.