15 marzo 2006 - Dal Quotidiano del 5 marzo 2006

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Il sentimento dei luoghi

Meno retorica sull'identità e sulla calabresità

di Vito Teti

Sono in tanti, anche amici studiosi, a domandarmi come mai assuma una posizione critica rispetto alla "calabresità". Provo a dare una risposta nel breve spazio della rubrica "II sentimento dei luoghi", che ospita "Il Quotidiano". Ho avuto la ventura di incontrare uomini politici, imprenditori, studiosi, professionisti che in privato dicono le 'peggiori cose" (irriguardose e rancorose) sulla nostra regione, fanno analisi crude e disperate, ma poi, quando qualcuno, magari 'forestiero", mette l'accento sui mali e le disgrazie che l'affliggono, subito si sentono colpiti di "lesa calabresità" ed eccoli indaffarati ad elencare bellezze e splendori della nostra terra. Prima dell' omicidio Fortugno (nella Locride c'erano già stati numerosi omicidi di 'ndrangheta e tutto il territorio calabrese andava conoscendo quotidiane minacce a uomini politici), guai a parlare di criminalità organizzata: qualcuno si alzava per dire che la Calabria non è solo questo, è anche mare, montagne, sole, spiagge, prodotti, monumenti (bella scoperta, davvero, ma bisognerebbe non dimenticare devastazioni, sventramenti di montagne, palafitte sulle coste, ecomostri) e che quindi bisogna puntare a valorizzare gli aspetti positivi. Dopo un efferato delitto, carico di valenze simboliche, si sono sprecate le lamentele, le denuncie, le amarezze di quanti sostengono che "la Calabria è stata lasciata sola", che nessuno dei grandi giornali ha parlato della criminalità (cosa non vera, peraltro). In molti ambienti (anche intellettuali) permane un atteggiamento schizofrenico, ora di autoesaltazione ora di autodenigrazione. Prevale l'incapacità di elaborare un discorso identitario, critico e problematico, basato più su una cultura del "fare" che non della lamentela sterile. Il termine viene adoperato con riferimento alle situazioni e alle manifestazioni più varie, folkloristiche, deteriori, strumentali. La"calabresità" appare spesso ancorata a una sorta di risentimento e di rivendicazione nei confronti degli altri che non ci capirebbero e che vengono rimproverati ora di occuparsi troppo di noi ora dì non occuparsene affatto. Disturba l'atteggiamento dell'assediato di quanti attendono sempre assoluzioni dagli altri o sono sempre pronti ad esaltarsi per giudizi favorevoli esterni (che ostenta) o a deprimersi per immagini neative (che contrasta con risentimento ed astio). "Calabresità", anche adoperato con le migliori intenzioni di questo mondo, resta un termine vago e generico, dice tutto e il contrario di tutto, appare legato a un modo di intendere 1' "identità calabrese" in maniera edulcorata, perenne, monocromatica, facilmente individuabile, data una volta per sempre.

Il termine ignora le "mille Calabrie", plurali e ricche, che si sono succedute nella storia, dall'antichità ai nostri giorni, distribuite e differenziate sul territorio. Non coglie le impronte e i segni lasciati in eredità da diverse genti e da tanti invasori e dominatori. Sottovaluta, che la storia della regione è segnata da contrasti e diversità, da luci e da ombre, che difficilmente possono essere riportate a una cifra unitaria o rinchiuse in un slogan di comodo. L'identità calabrese (ma direi le identità plurali e dinamiche delle genti di Calabria, ormai anche di quelle fuori della regione) è qualcosa che creiamo giorno per giorno e di cui i responsabili siamo in primo luogo tutti noi, ognuno con la nostra responsabilità, con la nostra sensibilità, con il nostro senso del presente, con il nostro fare o non fare. Non esiste l "idealtipo calabrese" e per fortuna i calabresi non sono tutti uguali. Oltre che a sentirci, con fatica e con gioia calabresi, abbiamo il dovere e il piacere di pensarci e viverci come abitanti di un mondo più vasto, non necessariamente tutto uguale, ma nemmeno fatto di luoghi separati e contrapposti. Amare la Calabria, significa anche scorgerne e denunciarne i mali. Fare finta di niente, sarebbe troppo comodo per i "retori della calabresità" spesso i veri devastatori delle risorse materiali e immateriali della regione. Non è con la retorica localistica che si restituiscono fiducia, orgoglio, speranza ai calabresi. L'appartenenza ad un luogo è fondamentale per riconoscerci e per ritrovarci, ma oggi dobbiamo saper coltivare anche la capacità di sentirci "fuori luogo", di metterci in gioco, di aprirci, di entrare in dialogo con altri luoghi, di sapere accogliere gli altri nei nostri luoghi. In un periodo di rischio di scontri tra civiltà, di chiusure localistiche, di strumentali contrasti tra credenti e laici e, addirittura, tra "atei cristiani" e "religiosi modernisti", viene in mente - anche per arricchire gli orizzonti del nostro sentirci e dirci calabresi - quanto scrive Ahmad Ali Saìd (Adonis): "L'identità non è qualcosa di dato, non la si acquista dai genitori o dalla nazione. L'identità non viene dal passato ma dall'avvenire. L'uomo crea la propria identità, creando la sua opera. Io sono sempre alla ricerca del Dio che è in me, e quando dico Io, mi riferisco all'universo".