17 giugno 2006
La melanconia nel pallone
di Vito Teti (dal Quotidiano)
“Marx è morto, Dio è morto ed io mi sento solo”, diceva, più o meno, Woody Allen. Adesso che è “morta” anche la “Vecchia Signora”, la mia Juventus, mi sento solissimo. Solo e smarrito, con tutto il popolo juventino. Penso soprattutto a quegli instancabili e tenaci juventini che sono cresciuti, negli anni Cinquanta, correndo dietro a un pallone nelle strade dei paesi con la maglia di Boniperti e Sivori e, tifando (potenza dei colori) per la Carpano di Nencini e De Filippis. Penso anche a quelli che ricordano i mille trionfi e anche, con interminabile dolore, il gol di Magath, la tragedia dell’Heysel, una sola coppa dei Campioni vinta, peraltro, ai rigori. Una vera e propria crisi di identità colpisce quanti di noi guardavano con un’aristocratica distanza tutti gli altri, noi che agli interisti dicevamo, con indulgenza: coraggio, prima o poi capiterà di vincere anche a voi.
Addio tenera e ingenua finzione di un mondo a parte, separato dai problemi di ogni giorno, dalla volgarità della politica. Nessun rifugio è concesso ai peccatori e tutti dobbiamo scontare peccati non commessi. Il Re è più nudo di quello che immaginavamo. Anche chi, in fondo, non amava la faccia furba e il fare volgare di Moggi può prendere atto che non esiste nessuna isola felice, non esistono spazi mentali di distrazione e di astrazione. E tuttavia la crisi d’identità, il disagio, lo sgomento colpisce tutte le altre tifoserie, tutti gli antijuventini d’Italia e del mondo. Che gioco del calcio sarà quello in cui la Juventus scende dal mito e diventa dolore e sofferenza? Che sfizio ci sarà, ormai, a battere una squadra comune? Senza più pretesi favoritismi agli juventini che alibi cercheranno quelli che non vincono da molti anni? E senza più lo stile Juventus quale modello potranno indicare polemicamente ai loro dirigenti e ai loro calciatori? Le appartenenze basate, in maniera esasperata, sull’odio per il nemico entrano in crisi quando il nemico non c’è più. Negli anni settanta il paese in cui sono nato cadde in una sorta di sconforto collettivo quando morì un uomo politico che aveva amministrato per tanti anni. Una metà degli abitanti perdeva un uomo amato e venerato, un’altra vedeva venire meno le ragioni di tanto risentimento. Pascal Bruckner ha scritto La melanconia democratica per raccontare le crisi di identità, la depressione che ha colpito il mondo occidentale dopo il crollo del Muro e dopo la fine del socialismo reale. Adesso siamo alla melanconia del pallone. Gli juventini non stanno bene, ma gli antijuventini, in maniera diversa, con ragioni diverse, non sanno come e perché gioire. Occorre un nuovo inizio. Per tutti. Non sarà facile.
Penso che chi ha sbagliato debba pagare. Con la giustizia sportiva e con quella penale. La serie B per la Juventus? Ma sì, non può che fare bene a noi poveri, illusi, ingenui, incauti tifosi. Dall’inferno si può tornare con una rinnovata passione. Chissà… Viene da domandarsi se la Juve in serie B farà bene ai tifosi delle squadre che non potranno sognare di batterla, che non vedranno gli stadi pieni e non potranno esibire gli irridenti striscioni. La scoperta di avere avuto ragione, di avere previsto tutto non dà mai la felicità. Il mal tolto non può essere mai restituito. La disgrazia degli altri non significa automaticamente un nostro trionfo. Non è mai tardi, certo, per scoprire e demolire con forza un contesto diffuso di illegalità, ma attendere giustizia da questi vertici del calcio miliardario appare ingenuo e un po’ patetico.
“Bisogna assegnare al Milan gli scudetti degli ultimi due anni, dice Berlusconi”. Bene. Ma nulla di quello che è accaduto verrà cancellato dalla memoria e dall’immaginario, dalle mitologie e dalla fantasie dei tifosi di tutte le fedi. Chi farà dimenticare quel gol di Del Piero al 90 minuto della partita più surreale della storia? Resterà lì per sempre più di un rigore sbagliato ai mondiali, come il gol di Maradona segnato con la mano. Non si torna mai indietro. Non conviene. La finale in cui il Milan vinse ai rigori sulla Juve a Manchester non è anche un esito di un campionato truccato?
Il Cavaliere che non ha ottenuto la presidenza del Consiglio e nemmeno quella della Repubblica per gli “imbrogli” dei nemici, si accontenta almeno di due scudetti rubati da avversari imbroglioni. Non ha tutti i torti. Certo potrebbe domandarsi se per caso la triade Moggi Giraudo Bettega non sia anche figlia del suo irrompere sulla scena del calcio a suon di miliardi; se certe derive non abbiano avuto il loro inizio in episodi come la vendita del calciatore Lentini. Non sono per la demonizzazione di Berlusconi. Non credo ai complotti dovunque e al “piove governo ladro”, ma proprio per questo bisognerebbe, forse, domandare all’uomo più votato d’Italia se, per caso, in questa bella e fantastica modernizzazione dell’Italia, pallone compreso, non abbia avuto una qualche devastante influenza.
La melanconia, in fondo, alberga nella sensazione che niente muterà e che tutto sia già accaduto. L’oltranzista striscione dei tifosi juventini che recita “Il fine giustifica i mezzi”, il senso di impunità degli indagati, la loro volgarità, la loro arroganza sanno tanto di già noto, di deja vu. Tutto ci era stato raccontato e anticipato dai ladri impuniti e indagati diventati onorevoli e dai furbetti di tutte le più spudorate speculazioni finanziarie. Il clima di complicità e di connivenza scoperto attorno a Moggi non è, forse, l’amaro frutto di un quindicennio in cui si è detto che tutto è possibile, che le tasse non si pagano, che gli scempi si condonano, che i furbi trionfano, che chi ha capacità (non la moralità) è giusto che prevalga sempre e comunque?
Povero Moggi. E’ sincero quando dichiara che gli hanno rubato l’anima: aveva immaginato di muoversi in un mondo senza anima e si è accorto che in fondo un’anima, lui, ce l’aveva e l’ha persa. Ad un certo punto del suo percorso avrà oltrepassato la linea d’ombra ed avrà pensato che fosse difficile non fare, per vincere, per trionfare, una sorta di “patto col diavolo”, con i tanti diavoli tentatori, incubi e succubi, in circolazione. In un mondo di furbetti, quando il gioco si fa duro, non era probabilmente facile resistere alla tentazione, forse alla necessità, di diventare “furbone” .
Il Cavaliere - altro discorso va fatto per i tifosi milanisti - può fare a meno di pretendere i due scudetti. Può concedersi un gesto di generosità. Non faccia, adesso, il giustizialista. Meglio aspettare. Non si sa mai. E poi ha già vinto a tutto tondo. L’Italia del calcio è l’espressione dell’Italia televisiva e politica che lui ha voluto e creato. Per questo penso che nulla cambierà se si interverrà soltanto, ipocritamente, individuando capri espiatori di turno, a livello settoriale, immaginando un calcio che non abbia a che fare con la politica e la cultura di questa Italia. La partita si gioca a tutto campo, in molti campi. Non solo col pallone. Il Cavaliere lo ha capito e ha giocato, bene e con coerenza. C’è qualcuno a sinistra, nel fronte avversario, che vuole capirlo? Gli onorevoli tifosi milanisti dell’Unione che danno ragione a Berlusconi (ma non è lo stesso che hanno combattuto per i suoi mille conflitti di interesse e perché avrebbe fatto carta straccia di ogni regola e di ogni promessa?) potrebbero, per favore, anche immaginare un qualche progetto politico di autentico ripristino della “legalità”, riscoprire quella che un tempo si chiamava morale, creare regole valide e condivise da tutti, intervenire, con leggi certe, per scoraggiare i furbetti di ogni risma e appartenenza? Se non si andrà in questa direzione, le partite, tutte le partite, saranno truccate e noi, poveri juventini e felici antijuventini, che amiamo il gioco più bello del mondo, fatto di passione e di illusione, avremo la dolorosa conferma che grazie a questo calcio - espressione di questa società - molti (anche quelli che si scandalizzano, che gridano al furto, che dileggiano Moggi prima riverito e osannato, anche quelli che potevano intervenire e non l’hanno fatto) hanno avuto un loro tornaconto, un loro interesse, più o meno grande, più o meno palese. Avremo la sensazione che qualcuno pagherà soltanto per fare restare le cose come prima.