Il Bambinello e la Croce
di Domenico Teti
Lo “spoiler” del Golgota
Spoiler è una parola inglese che ha varie accezioni, fra le quali una, divenuta molto di moda ultimamente, indica la rivelazione improvvida (intenzionale o meno che sia) del finale di un racconto, romanzo, film o serie televisiva. Mi ha fatto sorridere l’uso che del vocabolo ha fatto qualche sera fa uno storico dell’arte, commentando in televisione una celebre Natività del pittore rinascimentale Lorenzo Lotto, che ha la particolarità di presentare un crocifisso pendente da una parete della capanna di Betlemme. Quel crocifisso è appunto uno spoiler, una anticipazione di quella che sarà, al suo termine, la vicenda umana del Bambino adorato da Maria e Giuseppe.
Anche il Bambinello della congrega ha una croce in mano, e quindi si presenta come uno spoiler, come una anticipazione del finale: quel bimbo soffrirà appunto la passione e la croce. Parlo del delizioso Bambinello in cartapesta leccese, che secondo la testimonianza del priore onorario Domenico Carnovale (alias compare Micu lu Taloco, 1915-2006) fu acquistato durante il priorato del mio trisavolo Giuseppe Perri, a cavallo tra fine ottocento e inizio novecento. Ma prima di quello ce ne sono stati altri, fra i quali probabilmente quello più piccolo, apparentemente settecentesco, in legno, conservato, come l’altro, nel museo della confraternita e che dalla forma della mano sinistra sembra anche lui essere stato concepito per stringere una piccola croce. Certo è che fin dalla fondazione gli Statuti prescrivevano che la sera di Natale, «nel tempo dell’Adorazione si ponga in cambio del Crocefisso un imagine di Christo bambino» ed è quindi plausibile che la confraternita fin dall’origine si sia dotata di una propria statua del Bambino Gesù.
Il Bambinello con la croce in mano non è comunque una bizzarria sannicolese, e se qualcuno volesse considerarla una immagine sinistra o – peggio – morbosa, deve sapere che il giudizio andrebbe esteso ad un ricco filone iconografico, a sua volta innestato su una spiritualità vastamente presente nella cattolicità fin dalla fine del medioevo e fondata, fra l’altro, anche su alcune note esperienze mistiche. Ad esempio la beata Osanna Andreasi da Mantova, terziaria domenicana (1449-1505), quando era ancora giovanissima ebbe la visione del Bambino Gesù coronato di spine, carico della croce, che la invitava a seguirlo e più avanti anche alla mistica terziaria agostiniana Jeanne Perraud (1631-1676) apparve Cristo infante recante una piccola croce appoggiata al braccio sinistro.
In sostanza il culto a Gesù bambino, fra i principali portati della devozione verso l’umanità di Cristo, diffusa nella chiesa a partire dal magistero di San Bernardo di Chiaravalle e che si espanse poi principalmente per mezzo dell’ordine francescano (si ricordi che a San Francesco si deve l’invenzione del presepio), si declinò in connessione a quello della passione, mostrando così nell’immagine dello stesso divino Infante i segni della futura sofferenza redentrice. Le varianti iconografiche di questa devozione sono molteplici e vanno da quelle più delicatamente allusive (Gesù bambino che si punge con una spina o con un chiodo nella bottega di Giuseppe, prefigurazione della corona di spine e dei chiodi con cui fu confitto alla croce) a quelle più forti e perfino cruente: il Bambino che porta in un secchiello, invece dei giochi infantili, gli strumenti della passione; oppure disteso addormentato su una croce; oppure ancora mentre porta la croce stessa o addirittura vi è inchiodato. Questo tipo di rappresentazione conobbe una vasta diffusione ad opera degli ordini mendicanti (in primis francescani e carmelitani) e degli ambienti monastici, specialmente femminili, dove fu largamente presente in quanto esempio e sprone a seguire la via della croce nella professione dei consigli evangelici.
È un’iconografia di sicuro impatto spirituale, che impedisce di edulcorare il Natale, quasi fosse una consolante favola per bambini, e ricorda il motivo ultimo teologico per cui il Natale si festeggia: perché appunto il Bambino di cui si commemora la nascita ha affrontato, per amore dell’umanità, la passione e la croce. È, con tutta evidenza, un modo di rappresentare il bambino Gesù particolarmente congeniale alla nostra confraternita, che ha il suo cardine e la sua ragion d’essere nel culto della passione di Cristo.
Nel solco di questo orientamento devozionale si inserisce il canto che accompagna la funzione del bacio del Bambinello (che, come si ricorderà, nella congrega ha luogo da Natale alla Candelora). Si tratta della «Ninna nanna a Gesù Bambino, vittima predestinata», di cui non si conosce l’autore (anche se presenta somiglianze con una canzoncina spirituale presente in una raccolta curata da San Giovanni Bosco); la melodia è tipicamente natalizia, mentre il testo, nel rivolgersi al divino Infante, anticipa tutte le acerbe sofferenze che egli dovrà patire per la redenzione dell’uomo. Vale la pena, in questo tempo, rileggerla e magari mentalmente cantarla, visto che purtroppo siamo attualmente privati della possibilità di compiere i nostri riti tradizionali.
Dormi, o bimbo, o Re bramato,
o Gesù vaticinato;
dormi, o fonte di bontà;
dormi, o bimbo, la ninna fa’.
Dormi, dormi, o dolce amore,
pria che venga un traditore
che un reo bacio ti darà:
dormi, o bimbo, la ninna fa’.
Dormi, pria che il reo Pilato
T’abbia, infine, condannato;
dormi, o fior di santità;
dormi, o bimbo, la ninna fa’.
Dormi, pria che il Tuo bel crine
coronato sia di spine;
dormi, o fonte di bontà;
dormi, o bimbo, la ninna fa’.
Dormi, dormi, o Dio adorato,
prima d’esser flagellato;
dormi, o fonte d’umiltà;
dormi, o bimbo, la ninna fa’.
Dormi, pria che sulla Croce
non si sciolga un duolo atroce;
dormi, o fior di carità;
dormi, o bimbo, la ninna fa’.
Dormi, pria che sull’abisso
s’erga in alto il Crocefisso;
dormi, o fior di carità;
dormi, o bimbo, la ninna fa’.
Dormi, pria che il Tuo Costato
Sia ferito da un ingrato;
dormi, o fior di verità;
dormi, o bimbo, la ninna fa’.
Dormi, dormi, o bimbo bello,
pria che il corpo in un avello
rinserrato non sarà;
dormi, o bimbo, la ninna fa’.
Secondo l’attendibile racconto di alcuni nostri anziani (ricordo in particolare l’avv. Bartolo Marchese) in origine il ritornello doveva suonare “Dormi, o Ninno, la ninna fa’”, così trasportandoci nel linguaggio e nel mondo spirituale e poetico di Sant’Alfonso, a cui tanto deve la tradizione cattolica in materia di devozione popolare. È stato scritto a proposito della meditazione alfonsiana sull’infanzia di Cristo che in essa «circola un’idea fondamentale: la croce ha le sue radici nella culla; a Betlemme comincia il Calvario del Verbo fatto carne. Essa affiora ovunque. Sant’Alfonso non perde mai di vista il dramma sanguinoso del Redentore e con insistenza lo richiama alla memoria dei fedeli per destare in ricambio gratitudine e amore generoso» (O. Gregorio).
Difatti in una sua meditazione per la novena di Natale il santo Vescovo scrive: «Dormiva dunque il santo Bambino, ma mentre dormiva, pensava a tutte le pene che dovea patire per amor nostro in tutta la sua vita e nella sua morte […]. Pensava in particolare ai flagelli, alle spine, alle ignominie, alle agonie ed a quella morte desolata che dovea patir sulla croce; e tutto, mentre dormiva, Gesù offriva all’Eterno Padre, per impetrare a noi il perdono e la salute».
Mentre guardiamo il dolce viso del Bambinello che stringe al petto la sua piccola croce, ripensiamo alle sofferenze della sua gloriosa passione e preghiamolo, per esse, di concederci la conversione così necessaria.