Pensieri di un 1° giugno
Caro Priore,
a distanza di una settimana dall’apertura del Giubileo della nostra Confraternita, in occasione dei trecentocinquanta anni dalla sua fondazione, vorrei condividere con te, e tramite te con le consorelle e i confratelli tutti, alcuni pensieri e riflessioni che mi ha suscitato quella toccante cerimonia.
Innanzitutto voglio congratularmi per la scelta che la cattedra, unitamente al padre spirituale p. Michele Cordiano, ha fatto circa le modalità della celebrazione. Si sarebbe potuto fare il “solito” convegno, nel quale avremmo finito per parlarci addosso, lodarci (e imbrodarci) come spesso facciamo. Invece la scelta di far tenere una riflessione biblica a un esperto della levatura di p. Pino Stancari ha messo al centro l’aspetto religioso della celebrazione, come è giusto che sia in una associazione che è nata per ascoltare la parola di Dio e sforzarsi di metterla in pratica.
Certo non possiamo negarci che la celebrazione sia stata carica anche di emozioni molto umane, che per ognuno di noi hanno preso forma nel viso di persone care, non più presenti fisicamente fra noi, che però ciascuno ha sentito aleggiare spiritualmente fra le mura della chiesa mentre saliva nella sua nicchia il Crocifisso e si intonava il suo secolare inno.
«Ascende Dio tra le acclamazioni – proclamava il salmo di quella sera, festa dell’Ascensione –… cantate inni al nostro re … Dio regna sulle genti, Dio siede sul suo trono santo». Che felice convergenza fra la liturgia ufficiale della Chiesa e la nostra festa!
Anche altri passaggi delle letture mi sono parsi perfettamente adeguati alla ricorrenza che stavamo – e stiamo ancora – celebrando. Nella lettura dagli Atti degli Apostoli si diceva fra l’altro: «Egli (Gesù) si mostrò a essi vivo, dopo la sua passione». Non è questo che hanno vissuto generazioni di congregati prima di noi? Se non avessero trovato nella confraternita un luogo ove incontrare il Cristo vivo, mediante la parola e i sacramenti della Chiesa, la loro esperienza sarebbe stata semplicemente sentimentale se non addirittura puramente folcloristica. Se è durata per trecentocinquanta anni fino ad oggi, vuol dire che dai nostri padri e dalle nostre madri abbiamo appreso che nella congrega Gesù Crocifisso ancor oggi si mostra «vivo, dopo la sua passione» e ci dà modo di vivere una vita più conforme ai suoi comandamenti.
Nel Vangelo di quella sera Gesù diceva: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni». Ancora una volta, è di questo che parliamo quando parliamo di confraternita, e della nostra confraternita in particolare, che come sappiamo – ma spesso non ricordiamo a sufficienza – ha un’impronta penitenziale fin dalla sua fondazione. «Cominciando da Gerusalemme» quell’annuncio di conversione è arrivato, dopo milleseicento anni, a un piccolo villaggio della Calabria e ancora oggi non perde la sua attualità: «di questo noi siamo testimoni». La conversione e il perdono dei peccati – che in questo anno la Chiesa ha arricchito con il prezioso dono dell’indulgenza giubilare – sono il senso stesso della vita della congrega, che non può mai perderli di vista, a pena di diventare una sorta di comitato di rievocazione storica; anche apprezzabile, se vogliamo, come istituzione, ma distante anni luce dalla sua identità fondante.
«Ecco, io mando su di voi Colui che il Padre mio ha promesso», diceva ancora Gesù nel Vangelo che abbiamo ascoltato, riferendosi all’imminente festività della Pentecoste, memoria della discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa delle origini. Non so se abbiamo sottolineato una provvidenziale coincidenza storica: nel 1669, come in questo 2019, la Pasqua è caduta il giorno 21 aprile. Questo fa sì che quest’anno ci siamo trovati esattamente nello stesso tempo liturgico dell’anno della fondazione, con la sola differenza che all’epoca l’Ascensione si celebrava ancora nella data tradizionale del giovedì e quindi il sabato 1° giugno era il secondo giorno della novena di Pentecoste.
Avendo letto e riletto i nostri Statuti, mi sono convinto che questa atmosfera di attesa dello Spirito abbia caratterizzato fortemente l’esperienza fondativa della confraternita, lasciandone tracce significative in particolare nel rito, che non a caso si apre con l’invocazione «Veni Sancte Spiritus, reple tuorum corda fidelium…» («Vieni Santo Spirito, riempi i cuori dei tuoi fedeli…») e si chiude – purtroppo questo elemento lo abbiamo perso, ma lo dovremmo recuperare! – con le parole di San Paolo ai Romani: «Quicumque enim Spiritu Dei aguntur, ii sunt filii Dei!» («Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio!»). È una lettura presente nella liturgia di Pentecoste e ci dice quanto, nella percezione dei fondatori della congrega, questo momento fosse stata inteso e vissuto come un nuovo inizio, una nuova opportunità, la possibilità di scrivere una nuova pagina della storia umana e cristiana della nostra comunità.
È lo Spirito, infatti, che rinnova l’uomo, facendo morire i «facta carnis», le «opere del corpo», ovvero tutto ciò che degrada l’uomo alla sua pura dimensione animale: l’egoismo, la diffidenza, la sopraffazione, l’approfittamento, la lotta meschina per prosperare a discapito altrui. È lo Spirito che «con-grega», mentre il principio della carne «dis-grega», perché rende ciechi e sordi alle potenzialità dell’incontro, della convivenza, della comunione tra fratelli. Credo che la nostra comunità – e certo non solo essa – abbia fatto e stia facendo i conti con gli effetti nefasti di atteggiamenti come quelli stigmatizzati da San Paolo, verificando quanto sia vera questa parola: «si enim secundum carnem vixeritis, moriemini»: vivere «secondo la carne» vi porterà alla rovina. Invece lo Spirito suscita e fortifica nei credenti le virtù (che parola desueta!), che sono il fondamento di ogni comunità umana e massimamente di una comunità di fede. Gli Statuti della congrega dedicano pagine incantevoli alle virtù e al modo di praticarle nella vita di ogni giorno, al fine di costruire relazioni fraterne.
Mi auguro che questo anno giubilare ci porti a riscoprire seriamente le fonti ispiratrici della nostra fondazione e a recuperarne lo spirito. Solo così potranno avverarsi nella nostra comunità le parole del salmo magistralmente commentato da P. Stancari:
«Si parlerà del Signore alla generazione che viene».
Auguri di cuore a tutte le consorelle e a tutti i confratelli del Crocifisso!
Un crocifissante