Il senso di una visita
Riflessioni sulla venuta del cardinal Mamberti nella nostra comunità
di Domenico Teti
È passato ormai un mese dalla visita del cardinal Dominique Mamberti alla nostra comunità ed è già tempo di fare alcune considerazioni sul significato di questo evento, che entra a pieno diritto nella storia del paese, a quasi quarant’anni dalla venuta del cardinal Giuseppe Paupini, all’epoca Penitenziere Maggiore di Santa Romana Chiesa.
Il cardinal Mamberti, come si è già letto, è un personaggio di primo piano della Curia Romana, avendo rivestito in passato la carica di «ministro degli esteri» della Santa Sede (propriamente: Segretario per i Rapporti con gli Stati), mentre attualmente è Prefetto del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (un dicastero che assomma le competenze di suprema corte di merito, tribunale amministrativo e ministero di giustizia); ricopre anche la carica – tradizionalmente associata a quella di Prefetto della Segnatura – di Presidente della Corte di Cassazione dello Stato della Città del Vaticano.
Ce n’è abbastanza per far inorgoglire il piccolo paese che ha avuto la ventura di ospitarlo, e ancor più la confraternita del Crocifisso, che lo ha invitato per solennizzare il 350° anniversario della propria fondazione. Epperò, se riportassimo il significato di questo avvenimento solo ad una esibizione utile a far prejare (scusate se uso il dialetto, ma mi sembra qui imprescindibile) i crocifissanti, credo che adotteremmo un atteggiamento a dir poco riduttivo.
Certo, sarebbe puerile negare che ci siamo prejati: ci siamo compiaciuti e inorgogliti, e molto anche. Ci siamo emozionati e ci siamo commossi, pensando ai nostri morti, e alle molte generazioni di confratelli che ci hanno preceduto in tre secoli e mezzo e i cui spiriti abbiamo percepito plasticamente aleggiare fra le nuvole d’incenso, in quella serata agostana che ha infuocato – e non solo metaforicamente – la nostra chiesa matrice gremita all’inverosimile.
E una volta che ci siamo intestati – o meglio abbiamo confessato – questo sentimento del tutto umano, proviamo a squadernare altri possibili significati e spunti contenuti nell’evento, e in buona parte suggeriti nelle stesse sapienti parole che il Porporato ci ha rivolto nella sua omelia.
La nostra chiesa nel cuore della Chiesa. Per comprendere questo primo punto dobbiamo chiarirci le idee su chi è un cardinale. Un cardinale non è semplicemente – come potrebbe desumersi dai titoli del nostro ospite sciorinati dianzi – un altissimo funzionario del Vaticano. E, parlando da un punto di vista ecclesiologico, non è una specie di super-vescovo (del resto nemmeno il Papa lo è, dal lato sacramentale).
Il cardinale è il membro di un collegio le cui origini rimontano ai primordi del cristianesimo, e che non era altro che il collegio di preti e diaconi romani chiamati a coadiuvare il Vescovo nel governo della Chiesa. Nel suo sviluppo storico il collegio cardinalizio non ha mai perso questo tratto identificativo, tanto che a ogni cardinale è assegnato un «titolo» presbiterale o una «diaconia»: ognuno di essi, cioè, allaccia un legame spirituale e giuridico con una chiesa della città di Roma, della quale all’atto della nomina (tecnicamente si dovrebbe dire «creazione») diviene appunto «prete» o «diacono». Sei di essi, invece, ricevono il titolo delle diocesi «suburbicarie», cioè confinanti con Roma, che costituivano la provincia ecclesiastica il cui capo è il Romano Pontefice, e parimenti venivano da lui consultati nelle questioni di governo.
La presenza di un cardinale, allora, rimarca in modo visibile la presenza della Chiesa di Roma e del suo Vescovo in seno alla chiesa locale. A maggior ragione la concomitante presenza del vescovo diocesano mons. Renzo rende evidente la cattolicità dell’assemblea e il suo vitale inserimento nel duplice livello della Chiesa particolare (diocesano, appunto) e universale. La comunità raccolta nella chiesa matrice si è vista così, anche tangibilmente (perché spiritualmente lo è sempre), proiettata a Roma: il che non vuol dire tanto ai livelli del comando e del potere, quanto piuttosto nel cuore della Chiesa cattolica, che sulla roccia di Pietro, per volere di Cristo, fonda la propria fede e la propria testimonianza.
Vale la pena, inoltre, di annotare per gli annali che per la prima volta un porporato ha celebrato la messa nella nostra chiesa parrocchiale.
Un omaggio alla fede dei piccoli. Le parole usate dal Cardinale nell’omelia sono suonate come un riconoscimento alla storia della confraternita soprattutto in quest’ottica, come omaggio a una storia che ha come protagonisti i piccoli, i semplici, non fatta di grandi nomi, ma intessuta di tante storie personali, minime e ordinarie, che hanno trovato nell’adesione a un modello di vita cristiana la loro grandezza, degna di essere celebrata in una scadenza così importante. Generazioni di donne e uomini del popolo, contadini, pastori, artigiani, che insieme ai dottori e ai signori si sono inginocchiati davanti al Crocifisso e hanno praticato nel segreto le opere di misericordia, sono state onorate come artefici di un prezioso patrimonio spirituale, di una ricchezza comune a tutta la Chiesa cattolica. Il fatto stesso che uno stretto collaboratore del Vescovo di Roma si sia mosso per commemorare qui con noi la ricorrenza giubilare suggella col massimo grado di solennità il riconoscimento tributato dalla gerarchia della Chiesa alla fede umile e operosa di tanti, i cui meriti spesso sono noti solo a Dio.
Un intenso momento di comunità. È stato bello abbracciare con lo sguardo tutte le storiche componenti della comunità parrocchiale raccolte intorno all’altare. E voglio anche plaudere all’idea di p. Michele Cordiano, subito abbracciata dal priore Domenico Galati, di far partire la processione liturgica dalla chiesetta del Rosario. Non era una scelta obbligata: si sarebbe potuta usare come sacrestia, ad esempio, la prestigiosa sede della confraternita in via Alighieri. Però è stata molto felice la decisione di includere anche la sede dell’altra confraternita sannicolese nel momento celebrativo. Una festa della cattolicità, come quella che si è celebrata la sera del 26 agosto, è risultata più piena e completa grazie al coinvolgimento di entrambi i «polmoni» della devozione cristiana del paese, come ama esprimersi p. Michele, riecheggiando San Giovanni Paolo II. E così anche gli amici e confratelli del Rosario hanno avuto la loro bella foto ricordo del Cardinale in posa davanti alla Madonna: una pagina di storia e un’occasione di festa felicemente, cristianamente, condivisa.
Un nuovo inizio? Qui occorre mettere un prudenziale punto interrogativo, perché viene chiamata in causa la nostra buona volontà. La visita del cardinal Mamberti ha segnato il clou delle celebrazioni giubilari; il discorso pertanto qui si allarga al significato del giubileo che la Santa Sede ha concesso in occasione del 350° di fondazione della confraternita del Crocifisso. Il giubileo è un tempo in cui la misericordia di Dio viene elargita abbondantemente mediante il ministero della Chiesa, purché vi sia nei fedeli la volontà di accoglierla con la retta disposizione e l’intento di distaccarsi dal peccato. L’indulgenza plenaria è la remissione di ogni pena temporale e, come qualunque atto di cancellazione dei debiti, significa la possibilità di un nuovo inizio, di un rinnovato impegno di operare il bene lasciandosi alle spalle le scorie del tempo trascorso. È bello celebrare il nostro ricco passato e onorare la memoria dei padri, ma quello che il giubileo ci chiede è anche uno sguardo rivolto al presente e al futuro: come vivere oggi gli insegnamenti di Cristo, come progettare per domani una comunità fedele al retaggio cristiano lasciatoci dalle generazioni del passato.
Sapremo trasformare il giubileo in una occasione di ripartenza? La Chiesa generosamente ci ha aperto i tesori della grazia, fornendoci – per così dire – il carburante spirituale. Ora sta a noi sforzarci, con questo potente aiuto, di ritrovare l’entusiasmo dei padri fondatori e metterci in discussione per scrivere una pagina nuova, nella scia dei valori tramandati e testimoniati dai nostri predecessori.
Essi stessi – lo crediamo – ci sono a fianco in questo percorso, così come erano raccolti a centinaia – anche loro prejati e festanti – nella nostra chiesa matrice la sera del 26 agosto 2019, mentre il cardinal Mamberti, dinanzi al Crocifisso e all’Addolorata, alzava al cielo il calice del ringraziamento.